La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (n. 239 del 12/10/2010) del regolamento sui servizi pubblici locali di rilevanza economica, è destinata a riaprire il dibattito su una delle questioni economiche ed industriali più importanti per il futuro del nostro paese. Approfitto di questo momento di calma apparente, che precede come di consueto l’arrivo di temporali, per proporre una pacata riflessione sul tema della privatizzazione dell’acqua. Andiamo incontro a scadenze importanti. Il regolamento appena pubblicato ripropone le varie scadenze, le prime tra un paio di mesi, entro le quali gli enti locali dovranno gradualmente uscire dal capitale delle aziende di servizi pubblici, cedendo quote a soggetti privati a meno di non affrontare direttamente una fase competitiva. Negli stessi giorni che ci separano dalla fine dell’anno, la Corte di cassazione e la Corte costituzionale dovranno pronunciarsi sull’ammissibilità del referendum che sono stati sintetizzati come referendum «contro la privatizzazione dell’acqua». Adottare decisioni d’impresa in questo contesto non è semplice in particolare sugli investimenti. Per i servizi pubblici esiste un reale problema di governance. Ancor più sull’acqua. Nel settore idrico la priorità di far ripartire un grande piano di investimenti è riconosciuta da tutti ma l’approccio a questo tema resta localistico. Si continuano a privilegiare piccoli interventi puntuali, funzionali alle esigenze del singolo comune, a scapito di interventi strategici e strutturali che per loro natura richiedono una dimensione sovracomunale, a volte sovraregionale. Ne discende un problema che meriterebbe una riflessione approfondita sull’utilizzo inefficiente delle risorse economiche a disposizione (già di per sé scarse). Il potere decisionale allocato a livello comunale o su Autorità d’ambito, i cui limiti operativi di alcuni hanno portato il legislatore a decretarne la soppressione, ha di fatto generato una imbalsamazione del sistema. I comuni agiscono in un perenne conflitto di interesse fra le esigenze di una gestione corretta ed efficace dei servizi pubblici e il tentativo di non assumere misure impopolari e ritenute, per noi erroneamente, non paganti dal punto di vista elettorale, come aumentare le tariffe per garantire investimenti di manutenzione o costruzione di nuovi impianti. Occorre un nuovo sistema di governance, che riporti la programmazione degli investimenti almeno a livello regionale o di distretto. Nell’acqua in particolare, dove il servizio è connaturato da un forte monopolio naturale, serve ora più che mai un’Autorità centrale, autonoma e indipendente, cui riservare la titolarità della regolazione tariffaria. Una Autorità che riduca i livelli di conflitto esistenti, attivi procedure di perequazione in grado di favorire l’accesso al servizio alle fasce sociali disagiate e riduca le differenze a livello territoriale. È quanto già fatto, per esempio, nel settore gas. Per garantire nel lungo periodo servizi pubblici essenziali con continuità, elevata qualità e sicurezza, se vogliamo mantenere a livello europeo o implementare gli standard di servizio, è necessario che si elevi lo sguardo rispetto alla dimensione localistica e è necessario sviluppare una seria politica industriale . Le imprese locali sono pronte a questa sfida, non temono la competizione, temono il rischio dell’instabilità normativa e del continuo pendolarismo legislativo. È arrivato il momento di fare ciascuno, con responsabilità, la propria parte.
Acqua, serve un’Authority
L’INTERVENTO
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