Obiettivo recupero: il decreto sviluppo (Dl 78/2011), nel semplificare le procedure relative all’attività edilizie e alla trasformazione del territorio, mira anche a favorire il recupero delle aree dismesse attraverso il riconoscimento di incentivi e semplificazioni procedurali. L’articolo 5 del decreto (comma 9 e seguenti), punta sulla razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente attraverso il recupero di aree urbane degradate ed edifici non residenziali dismessi. Le aree urbane dismesse e il loro recupero rappresentano un problema sempre più attuale e di non facile soluzione, dal momento che la recente crisi economica e la chiusura di stabilimenti produttivi ha determinato il sorgere di nuove are industriali dismesse oltre a quelle già dismesse a inizio anni 90. Problemi ambientali e urbanistici, intreccio di disposizioni non sempre coordinate, tempi incerti, costi potenzialmente maggiori rispetto ai nuovi sviluppi sono tutte incognite che gravano sul progetto. E questo vale in particolare per la bonifica e il ripristino ambientale, che possono rappresentare un onere eccessivo per gli investitori. Non sono mancati in passato tentativi legislativi volti a favorire il recupero delle ex aree industriali – come ad esempio l’articolo 252-bis del Dlgs 152/2006 – ma questi tentativi si sono rivelati poco efficaci in quanto, pur prevedendo norme ad hoc, risultavano spesso troppo rigidi (conferma della destinazione produttiva delle aree) ed economicamente poco allettanti per gli operatori privati (costi di bonifica interamente a carico della proprietà). Il Dl sviluppo, invece, sembra compiere un passo in più, in quanto chiede alle regioni di emanare specifiche leggi che incentivino il recupero delle aree industriali dismesse attraverso il riconoscimento di premi volumetrici, trasferimento di volumetrie e inserimento di nuove destinazioni d’uso con interventi di demolizione e ricostruzione. Secondo il calendario fissato dalla norma, le regioni hanno 60 giorni per emanare le leggi specifiche (periodo di tempo sicuramente troppo breve perché venga rispettato), dopodiché – decorso tale termine – i privati avranno comunque facoltà di procedere al cambio d’uso delle proprie aree attraverso un premesso a costruire in deroga allo strumento urbanistico, previsto dall’articolo 14 del Dpr 380/2001, che potrà essere usato anche per effettuare il cambio d’uso, ma dovrà comunque garantire il rispetto delle norme ambientali. Il che significa, nel caso delle aree industriali dismesse, che dovranno essere programmate le opportune verifiche ambientali e le eventuali bonifiche. La norma nazionale – fermo restando il fatto che l’iter di conversione del Dl è ancora in corso – traccia una cornice entro cui potranno muoversi i legislatori locali. Non erano mancati, in passato tentativi di alcune Regioni, come la Lombardia, che avevano cercato di incentivare il recupero delle aree dismesse anche attraverso la previsione di una definizione di area dismessa (legge regionale 1/2007) o il riconoscimento di strumenti e incentivi economici – quali lo scomputo di parte dei costi di bonifica dagli oneri di urbanizzazione (legge 10/2009) – che potessero effettivamente favorire gli interventi di recupero su tali aree, ma una previsione di legge a livello nazionale è un passo in più. Due punti, infine, andrebbero migliorati: la nozione di «area dismessa» e l’introduzione di un coordinamento tra l’iter edilizio e urbanistico e quello ambientale di bonifica, così che le due procedure (le due anime del medesimo intervento) vengano coordinate come tempi, approvazioni e certificazioni.
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