Gli investimenti e il federalismo mal temperato

Fonte: Il Sole 24 Ore

I posti di lavoro persi alla Fincantieri sono un gran guaio, ma rispondono a una logica di ristrutturazione industriale, un disegno strategico, giusto o sbagliato che sia, in un mercato da brodo ristretto. Quelli invece mai creati per investimenti bloccati da amministrazioni locali o da altri organi dello Stato – l’Ikea di Parma, il Gassificatore di Brindisi e tutti i 320 casi del 2010 rivelati dal Nimby Forum – sono la conseguenza di una logica di frammentazione dei poteri decisionali, che nulla ha di strategico. Di fatto una palude suicida, per un Paese che cerca disperatamente di far ripartire la crescita. Ognuno di questi investimenti perduti avrebbe creato posti di lavoro sufficienti a compensare quelli persi alla Fincantieri. Poca consolazione per i lavoratori di Sestri Ponente o di Castellamare di Stabia, ma nell’insieme l’occupazione del Paese sarebbe cresciuta e nuova ricchezza sarebbe stata creata. A questo proposito, il ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani ha denunciato su queste colonne il morso paralizzante delle catene localistiche. Di fatto è una dichiarazione di impotenza dello Stato. Ma anche una posizione paradossale per un governo che ha posto il federalismo alla testa dei suoi obiettivi, con il rischio che un trasferimento ancora maggiore del potere decisionale a livello locale ingessi ancor di più la capacità decisionale del sistema pubblico. In realtà la saga degli investimenti perduti insegna che in molti casi c’è bisogno di federalismo all’incontrario: una devoluzione intelligente del processo decisionale sul territorio necessita allo stesso tempo di un rafforzamento delle funzioni dello Stato centrale. Per capirlo basta fare una visita al sito dell’agenzia di attrazione degli investimenti in Francia (www.invest-in-france.org). Qui sono riportati i dati sui nuovi insediamenti nel paese nel 2010: 31.815 posti di lavoro creati o preservati; 782 nuove decisioni di investimento (+ 22% rispetto al 2009). L’agenzia ha un ruolo fondamentale nell’attrarre gli investimenti, che svolge attraverso un mix efficace di centralismo e federalismo. In sostanza le cose funzionano più o meno così. Un’impresa che voglia fare un nuovo investimento contatta l’Agenzia nazionale, la quale fornisce tutte le informazioni fiscali e amministrative necessarie a finalizzare l’investimento. A questo stadio il progetto viene proposto alle agenzie regionali di sviluppo, le quali, in concorrenza tra di loro, fanno una proposta di insediamento. Il punto è che la proposta è vincolante, nel senso che l’agenzia regionale è in grado di fare un’offerta sicura su cui non gravano incertezze. E tutto questo in pochissimi mesi. Dunque, una sintesi tra un forte ruolo centrale nel coordinamento delle scelte di localizzazione delle imprese e e il ruolo decentrato di attori regionali, con effettivo potere decisionale e in grado di prendere impegni credibili, in linea con il principio dell’autonomia locale. Le imprese possono così fare una scelta su condizioni certe ex ante. La difficoltà degli investimenti in Italia sta invece nel fatto che i margini di incertezza sono elevati anche dopo che la decisione di investire è stata presa. A quel punto, le autorità locali hanno maggiore potere contrattuale perché spostare il sito dell’investimento costa. E siccome pochi comperano una casa se poi sanno di non poterla vendere, questa incertezza scoraggia moltissimo gli investimenti. L’esempio francese è un buon caso di best practice su come risolvere il conflitto tra autonomie locali e necessità di coordinamento centrale. Perché non adottarlo? Anche noi abbiamo un’agenzia di attrazione, Invitalia, che però non ha strumenti adeguati per garantire offerte di localizzazione certe sul territorio a chi voglia investire. Né potrebbe averlo data la confusione nelle gerarchie di potere tra centro e periferia. Il risultato è un film dal titolo gli «Investimenti Perduti», l’esempio perfetto di cosa possa produrre un federalismo mal disegnato.

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