Valore patrimoniale degli immobili in balia dell’andamento del mercato dell’ultimo triennio. Quella che si appresta a essere una delle colonne portanti della riforma del catasto, ovvero l’attribuzione a ciascuna unità immobiliare urbana non solo di una rendita catastale, ma anche di un valore patrimoniale rischia di subire le conseguenze del crollo del mercato immobiliare che si è verificato tra il 2012 e il 2014.
In base a quanto risulta a ItaliaOggi, infatti, l’orientamento dell’amministrazione finanziaria sarebbe quello di attribuire un valore, a tutti quei beni che non hanno avuto un mercato sufficientemente ampio da poter esprimere i valori medi ordinari, attraverso il calcolo del costo di costruzione a cui dovrà affiancarsi un deprezzamento. Un criterio che se trovasse effettivamente un’applicazione generalizzata su tutto il territorio nazionale, non solo lascerebbe un ampio margine di discrezionalità all’amministrazione finanziaria, ma rischierebbe anche di penalizzare tutte quelle unità abitative che non sono riuscite a essere oggetto di operazioni di compravendita. Un criterio, però, che potrebbe venire meno se l’amministrazione optasse per l’applicazione dei valori emersi nel corso delle aste giudiziarie (si veda ItaliaOggi di ieri)
Legata a doppio filo, poi, la questione della definizione degli ambiti territoriali. Per questi, infatti, l’unità minima territoriale di riferimento dovrà essere la zona Omi (Osservatorio del mercato immobiliare), ovvero le zone mediante le quali l’amministrazione finanziaria ha articolato ciascun comune italiano e con riferimento alle quali elabora le quotazioni di mercato per le diverse tipologie di immobili. L’Omi, però, non ha mappato tutte le zone del territorio e, quindi, per ovviare la strada scelta sarebbe quella di accorpare più ambiti territoriali andando a prendere quelli in cui le quotazioni di mercato sono superiori. Un orientamento che se troverà conferma nello schema di dlgs che il governo si appresta a licenziare alla fine di febbraio non andrà assolutamente nella direzione dell’invarianza di gettito soprattutto a livello locale. Del resto, però, la stessa amministrazione finanziaria, nel corso dell’incontro che si è tenuto venerdì 23 gennaio (si veda ItaliaOggi del 24 gennaio 2015) con il Coordinamento nazionale interassociativo del catasto, ha sottolineato come il mancato aggiornamento delle rendite catastali negli ultimi vent’anni abbia portato a una perdita di gettito in termini reali. Assunto che ha come conseguenza il fatto che con la riforma del catasto l’obiettivo minimo non può che essere quello di arrivare all’effettiva tassazione dovuta, ovvero a una tassazione che dovrà portare un gettito superiore a quello degli ultimi anni. Ecco, quindi, che se il governo non scioglierà la riserva sull’interpretazione della clausola sull’invarianza di gettito prevista dalla legge 23/2014 il rischio è quello di andare incontro a un amento della tassazione sugli immobili.
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