Addio al lavoro sempre più lontano

Fonte: Italia Oggi

Nel prossimo futuro si saprà con certezza quando si comincia a lavorare ma non quando (età) si potrà smettere. A meno che non si raggiungano i fatidici 40 anni di contributi che, per ora, restano un requisito scampato alla tagliola della riforma (oggi l’età media di accesso al lavoro è 25 anni: 25 + 40 = 65 anni). Il pensionamento, infatti, dipenderà dalla probabilità di vita e di morte: si chiama «speranza di vita» e misura, statisticamente (quindi con la sola certezza dei numeri e della numerosità degli italiani), la probabilità che un uomo o una donna di 65 anni ha di campare ancora. Se la probabilità cresce (se cioè aumentano gli anni attesi di vita), ecco che anche l’età di pensionamento si allontana di pari misura. L’aspetto originale di questa riforma è che presenta effetti ripetitivi nel tempo. Ogni tre anni, infatti, si procederà alla verifica della variazione che c’è stata nella speranza di vita calcolata dall’Istat (un po’ come succede con il calcolo dell’inflazione per l’adeguamento del tfr) e, conseguentemente e automaticamente, seguirà l’aggiornamento dei requisiti di pensionamento. Questo adeguamento è stato previsto dalla manovra dell’anno scorso (dl n. 78/2009) che rimetteva ad uno specifico decreto l’emanazione della normativa di attuazione. A tanto provvedere il maxi-emendamento alla manovra di quest’anno (dl n. 78/2010), conservando il punto di partenza originario: 1° gennaio 2015, come previsto dal dl n. 78/2009. Restano i 40 anni di contributi. L’adeguamento dei requisiti di pensione verrà fatto in relazione alla speranza di vita che gli italiani vantano all’età di 65 anni, calcolata dall’Istat. Quando dovesse risultare che gli italiani vivono di più bisognerà anche lavorare di più prima di andare in pensione. Un «di più» pari all’aumento della speranza di vita. Al primo aggiornamento, il 1° gennaio 2015, la maggiorazione dei requisiti non potrà superare i 3 mesi e, se dovesse risultare una diminuzione della speranza di vita, non verrà fatto alcun aggiornamento. L’adeguamento interesserà tutti i requisiti di età per la pensione: vecchiaia, anzianità, settore privato e pubblico impiego. Non riguarderà invece anche il requisito unico di anzianità contributiva di 40 anni che consente di andare in pensione a prescindere dall’età. Riguarderà pure le «quote», che dal 2013 sono fissate a 97 (con età minima a 61 anni) per i lavoratori dipendenti e a 98 (con età minima a 62 anni) per i lavoratori autonomi. A tal fine, a partire dall’anno 2013, l’Istat renderà ogni anno disponibile entro il 30 giugno dello stesso anno, il dato relativo alla variazione della speranza di vita nel triennio precedente (il primo triennio, dunque, sarà 2010/2012). Quando tale variazione è espressa in decimali, per determinare il risultato in mesi (l’aumento del requisito per la pensione) andrà moltiplicato questo decimale per 12 e il risultato arrotondato all’unità. L’adeguamento non opererà nei confronti dei lavoratori per i quali viene meno il titolo abilitante allo svolgimento della specifica attività lavorativa per il raggiungimento del limite di età. Infine, lo slittamento in avanti dei 65 anni di età per il pensionamento produrrà lo stesso effetto anche sulle età di riferimento ai fini dell’applicazione del coefficiente di trasformazione (per le pensioni contributive). Variazioni triennali e non quinquennale. L’adeguamento dei requisiti di pensione alla speranza di vita verrà fatto a cadenza triennale, salvo i primi due. Ci sono due novità rispetto al dl n. 78/09). La prima: la determinazione della speranza di vita è affidata esclusivamente all’Istat, senza più la validazione da parte dell’Eurostat. La seconda: il calcolo della speranza di vita (e quindi anche l’aggiornamento dei requisiti di pensione) verrà fatto con riferimento al triennio, e non quinquennio, precedente. Il primo aggiornamento avverrà nel 2015; il secondo, in deroga alla periodicità triennale, avverrà dal 1° gennaio 2019 (quindi dopo quattro anni). Da tale data seguirà poi la cadenza triennale (2019, 2022, 2025, e via dicendo). La finestra è mobile. A partire dal 1° gennaio 2011 (per chi dovrà andare in pensione da tale data), scatterà una diversa decorrenza delle pensioni. In luogo delle attuali «finestre» rigide, diventerà operativa una cosiddetta «finestra mobile» o «a scorrimento», che prevede la decorrenza del pensionamento di anzianità e di vecchiaia, non ad epoche prestabilite (trimestre, semestre, ecc.), ma a distanze certe: dopo 12 mesi nel caso dei lavoratori dipendenti e dopo 18 mesi nel caso dei lavoratori autonomi. In particolare, le pensioni decorreranno dal primo giorno del mese successivo alla scadenza dei predetti termini. Un esempio. I requisiti di pensionamento vengono perfezionati entro il mese di maggio? La pensione decorrerà dal 1° giugno dell’anno successivo (lavoratore dipendente) o dal 1° novembre dell’anno successivo (lavoratore autonomo). Altro esempio. Al lavoratore dipendente che raggiunga «quota 96», con 36 anni di contribuzione e 60 anni di età, il 30 giugno 2011, la pensione decorrerà dal 1° luglio 2012. Cosa è cambiato? Che dovrà lavorare 6 mesi in più. Con le regole oggi vigenti, egli avrebbe avuto la liquidazione del primo assegno di pensione dal 1° gennaio 2012. Ancora un altro esempio. La lavoratrice dipendente che compie 60 anni il 23 marzo 2011, avendo maturato 21 anni di contributi, percepirà la sua prima pensione dal 1° aprile 2012. Con le regole di oggi avrebbe potuto incassare il primo assegno di pensione dal 1° luglio 2011 (dovrà lavorare 10 mesi in più).

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