Il fatto
Alcuni cittadini convennero in giudizio il Comune ritenendolo responsabile per le immissioni di rumore nella propria abitazione, prodotte dagli avventori degli esercizi commerciali ivi ubicati, nelle sere di fine settimana del periodo estivo, si trattenevano in strada ben oltre l’orario di chiusura degli stessi. Non era nella specie “contestato l’uso del potere di regolamentazione degli orari da parte del sindaco, bensì la mancata adozione di provvedimenti concreti per rendere effettiva l’osservanza di ordinanze emesse”, non potendo “configurarsi un obbligo del Comune, e in particolare del sindaco quale ufficiale di governo, di dare esecuzione coattiva alle proprie ordinanze”
A tal fine, veniva richiesto al giudice civile di accertare l’intollerabilità delle immissioni provenienti dalla strada comunale e, quindi, di condannare il Comune, ex art. 844 c.c., “alla cessazione immediata delle predette immissioni ovvero alla messa in opera delle necessarie misure per ricondurre alla normale tollerabilità le immissioni medesime”, nonché al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti.
La decisione della Corte di Cassazione
La tutela del privato che lamenti la lesione, anzitutto, del diritto alla salute (costituzionalmente garantito e incomprimibile nel suo nucleo essenziale ex art. 32 Cost.), ma anche del diritto alla vita familiare (convenzionalmente garantito – art. 8 CEDU: cfr., tra le altre, Cass. n. 2611/2017; Cass. n. 19434/2019; Cass. n. 21649/2021) e della stessa proprietà (che rimane diritto soggettivo pieno sino a quando non venga inciso da un provvedimento che ne determini l’affievolimento (Cass. n. 1636/1999), cagionata dalle immissioni (nella specie acustiche) tollerabili, ex art. 844 c.c., provenienti da area pubblica (nella specie, da una strada della quale la Pubblica Amministrazione è proprietaria), trova fondamento, anche nei confronti della PA, anzitutto nelle stesse predette norme a presidio dei beni oggetto dei menzionati diritti soggettivi.
La PA stessa, infatti, è tenuta ad osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni e, quindi, il principio dei neminem leadere, con ciò potendo essere condannata:
- al risarcimento del danno (artt. 2043 e 2059 c.c.) patito dal privato in conseguenza delle immissioni nocive che abbiano comportato la lesione di quei diritti. La domanda di risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti dagli attori in conseguenza delle immissioni acustiche, non postula alcun intervento del giudice ordinario di conformazione del potere pubblico e, dunque, non spiega alcuna incidenza rispetto al perimetro dei limiti interni della relativa giurisdizione, ma richiede soltanto la verifica della violazione da parte della PA del principio del neminem leadere e, dunque, della sussistenza o meno della responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c., per avere mancato di osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni quale condotta, connotata da c.d. colpa generica, determinativa di danno ingiusto per il privato.
- ad un facere, al fine di riportare le immissioni al di sotto della soglia di tollerabilità, investendo una tale domanda, di per sé, scelte ed atti autoritativi, ma, per l’appunto, un’attività soggetta al principio del neminem leadere (tra le più recenti: Cass., S.U. n. 21993/2020; Cass., S.U. n. 25578/2020; Cass. S.U. n. 23436/2022; Cass., S.U. n. 27175/2022; Cass., S.U. n. 5668/2023). È possibile imporre alla pubblica amministrazione non già le modalità concrete di esercizio del potere discrezionale ad essa spettante, ma si possa ordinare all’amministrazione di procedere ad individuare e porre in essere gli “interventi idonei ed esigibili per riportare le immissioni acustiche entro la soglia di tollerabilità, ossia quegli interventi orientati al ripristino della legalità a tutela dei diritti soggettivi violati”.
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