Prove di fair play per ipoteche e avvisi

Fonte: Il Sole 24 Ore

Ci sono volute le proteste di piazza per risvegliare l’attenzione del Parlamento sulla riscossione delle tasse. A pochi giorni dal 1° luglio – anno zero dell’accertamento esecutivo – la commissione Finanze della Camera ha messo a punto un pacchetto di emendamenti che puntano a riequilibrare i rapporti di forza tra esattori e contribuenti, ma non accontentano i professionisti e le categorie produttive. Il test in Aula L’esame in Aula delle correzioni al decreto Sviluppo è in calendario da domani. L’impressione, però, è che questa volta il fisco voglia tirare dritto sul principio del solve et repete. Come dire: «Ti accuso di aver evaso le imposte: prima paga, poi ne parliamo». Con gli avvisi di accertamento esecutivi, una volta ricevuta la notifica, il presunto evasore avrà solo 60 giorni di tempo per decidere se pagare o fare ricorso. E anche in questo secondo caso non potrà temporeggiare troppo a lungo: potrà chiedere la sospensione del versamento, ma se il giudice tributario non gli dirà di sì entro 180 giorni, sarà costretto a saldare il debito. Con le buone o con le cattive, subendo ad esempio un pignoramento sul conto corrente. Il problema è che le commissioni tributarie sono molto lente a concedere la sospensione, anche per il timing imposto dalle norme processuali. L’unica statistica disponibile dice che ci vogliono in media 184,6 giorni. Ma è facile intuire che i tempi possono essere molto più lunghi. E il dato, oltretutto, non tiene conto del prevedibile boom di richieste che arriveranno sul tavolo dei giudici dal 1° luglio in poi. Nei giorni scorsi era circolata l’ipotesi di applicare il silenzio-assenso alle istanze di sospensiva. Una soluzione che, di fatto, avrebbe rinviato il pagamento almeno fino alla sentenza di primo grado. Scartata questa ipotesi, rimangono le misure proposte contro i giudici-lumaca: il ritardo è illecito disciplinare, può causare la rimozione dall’incarico in caso di recidiva e deve essere segnalato alla Corte dei conti per l’eventuale danno erariale. Provvedimenti, questi ultimi, sicuramente efficaci contro la scarsa produttività dei singoli magistrati, ma non adatti a contrastare i problemi strutturali della giustizia tributaria. La riduzione a un terzo L’unico alleggerimento, per chi viene accusato di aver evaso le tasse, è la possibilità di pagare di meno- un terzo anziché la metà – contenuta in un altro degli emendamenti al decreto. Così, chi riceverà un avviso da 1.500 euro e non otterrà la sospensiva in tempo utile, dovrà pagare 500 euro anziché 750, in attesa di capire se la pretesa del fisco era fondata o no. Il testo licenziato dalle Commissioni contiene poi altre misure che ridisegnano la riscossione, alleviando alcuni dei punti più contestati. Come ad esempio il blocco dell’anatocismo fiscale, in base al quale gli interessi sui tributi possono generare altri interessi. O come il divieto di ipotecare l’abitazione principale per un debito tributario inferiore a 20mila euro. O, ancora, come lo stop alle “ganasce fiscali” per gli importi fino a 2mila euro, che potranno essere riscossi solo dopo due avvisi postali, inviati ad almeno sei mesi di distanza l’uno dall’altro. Proprio lo strumento del preavviso – esteso anche alle ipoteche – diventa uno dei punti salienti del nuovo fair play tra Equitalia e i contribuenti, insieme alla maggiore facilità di diluire il debito. Non è un caso che lo stesso direttore delle Entrate, Attilio Befera, abbia citato alla Camera il dato di 1,14 milioni di rateazioni concesse. Le nuove regole, del resto, arrivano dopo una stagione di forti proteste nei confronti degli esattori, a partire da quella dei pastori sardi. Proteste che riflettono i risultati della riscossione: è innegabile che negli ultimi anni lo Stato abbia recuperato di più e meglio rispetto al passato con 9,1 miliardi nel 2010 contro 6,9 nel 2008. Merito di Equitalia, che si è rivelata più incisiva dei suoi predecessori. E degli strumenti legislativi, che sono stati potenziati o, semplicemente, utilizzati di più. Valga per tutti il caso dei pignoramenti presso terzi (cioè le banche), balzati l’anno scorso a 133mila. Equilibrio difficile Tra crisi economica ed esigenze di finanza pubblica, chi scrive le leggi (e ancora di più chi le applica) si muove su uno strato di ghiaccio molto sottile. Per rendersene conto basta leggere il Rapporto di coordinamento della finanza pubblica della Corte dei conti. È vero che gli importi riscossi sono aumentati, ma le principali possibilità di recupero legate alla migliore gestione dei vecchi debiti ormai sono state sfruttate. Inoltre – rilevano i giudici contabili – il grosso delle maggiori entrate tributarie inserite nel bilancio di previsione dipende dalla lotta all’evasione. Tenere alta la guardia sul fronte della riscossione, quindi, significa “avverare” le ipotesi di incasso, evitando di dover alzare le tasse ai contribuenti onesti o fare altri tagli alla spesa pubblica.

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