Federalismo fiscale e costi standard possono essere la carta vincente contro sprechi e cattive gestioni di asl e ospedali da Roma in giù. Ma per evitare un flop serve una svolta e una politica di investimenti infrastrutturali proprio a partire dal centro-sud: col project financing per gli ospedali, in tecnologie hi-tech, nell’informatizzazione a tutto campo. Perché investire in sanità, terza industria d’Italia, conviene per l’economia e per lo stesso sud: ogni euro speso ne genera 1,70. Un volano capace di moltiplicare l’investimento e generare occupazione spesso qualificata. «Il mondo della salute tra governance federale e fabbisogni infrastrutturali»: è questo il titolo del rapporto 2010 dal gruppo bancario Intesa San Paolo, che sarà presentato oggi a Roma e discusso in una tavola rotonda col ministro della Salute, Ferruccio Fazio. Scelta del tema non casuale. Anche perché l’imponenza della posta in gioco è di primissima grandezza: 142 miliardi di spesa (pubblica e privata), 1,65 milioni di occupati (il 7,16% del totale), come valore il 12% del pil nazionale considerando l’intera filiera della salute con l’indotto. Con un problema che nasce ancora prima: l’insostenibilità dell’attuale modello di finanziamento. Nel 2050 tutte le previsioni indicano un’esplosione della spesa sanitaria fino al 16% del pil (oggi è il 9%) con circa 400 miliardi. E dunque sarà sempre più necessario puntare sulla collaborazione pubblico-privato. Ma non solo: arma vincente, come per la previdenza, sarà la sanità integrativa. Sulla quale Intesa San Paolo, lancia la sua proposta. I fondi integrativi vanno incentivati con nuove e più attraenti agevolazioni fiscali anche usando i risparmi sulla sanità previsti dal documento di finanza pubblica. E le banche con tutte le garanzie del caso si candidano a fare la loro parte. Spiega Mario Ciaccia, ad di Banca infrastrutture innovazione e sviluppo di Intesa San Paolo: «Gli istituti finanziari potrebbero gestire i fondi integrativi. Una banca potrebbe ad esempio prevedere anticipazioni agli iscritti ai Fondi per spese straordinarie. Ma il compito potrebbe essere esteso al potenziamento della loro patrimonializzazione, mentre dalle Fondazioni potrebbero arrivare contributi a tassi agevolati». Intanto incombe il federalismo fiscale. Che deve misurarsi con la spaccatura tra centro-nord e centro-sud. Un divario enorme di qualità, sia di servizi che di strutture; di prestazioni carenti, se non negate come dimostrano i viaggi della speranza (1 miliardo l’anno) al nord in cerca di cure. E di deficit che si sommano ai deficit. Tutte realtà che il rapporto documenta con dovizia di dati. Il sud è sempre perdente: dal tasso di ospedalizzazione alla durata e all’appropriatezza dei ricoveri. Intanto al sud c’è stato il flop degli investimenti pure profumatamente finanziati. Come per l’edilizia sanitaria: 1,16 miliardi sono stati revocati per mancata capacità di investimento. E il gap infrastrutturale è cresciuto. Ma ora per vincere la sfida del federalismo bisogna farcela. Magari pensando a un «percorso transitorio di perequazione per il sud», propone il rapporto. Investendo in Ict, ad esempio: Obama ha puntato 100 miliardi di dollari in dieci anni, che a regime potrebbero farne risparmiare 300 l’anno. Da noi la asl di Treviso ha speso 500mila euro per un progetto di Ict, con risparmi potenziali di oltre 630mila euro: se esportassimo il modello in tutta Italia il servizio pubblico risparmierebbe 417 milioni l’anno. A farcela.
Project financing per lanciare la sanità modello federalista
Rapporto Intesa San Paolo – «Hi tech al sud per colmare il divario con il nord»
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