Permessi retribuiti per assistenza disabili: la Corte Costituzionale estende la disciplina ai conviventi

È stato dichiarato illegittimo l’art. 33, comma 3, l. 5 febbraio 1992, n. 104, come modificato dall’art. 24, comma 1, lett. a), l. 4 novembre 2010, n. 183, nella parte in cui non include il convivente tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito per l’assistenza alla persona con handicap in situazione di gravità, in alternativa al coniuge, parente o affine entro il secondo grado. Questa la massima che affiora dalla sentenza n. 213/2016 della Corte Costituzionale, depositata il 23 settembre 2016.
A parere della Consulta risulta pertanto illegittimo limitare il diritto ad usufruire del permesso mensile per fornire assistenza al disabile solo a coniugi, parenti o affini fino al 2° grado così come è inviolabile il diritto alla salute psico-fisica del disabile. La questione aveva già interessato il Tribunale di Livorno, chiamato ad esprimersi sul caso di una lavoratrice dipendente che si era vista negare il permesso per assistere il convivente more uxorio affetto dal morbo di Parkinson.
Dopo che in alcune precedenti occasioni la questione era stata dichiarata inammissibile, la Corte ha affermato l’equiparazione fra rapporto di coniugio e convivenza, come invocato nel caso di specie dal Tribunale del lavoro remittente, stigmatizzando l’omissione, in termini di irragionevolezza, della scelta compiuta dal legislatore.

Il filo conduttore seguito ora dalla Corte si fonda sull’individuazione dell’interesse primario cui è preposta la norma in questione – come già affermato con riferimento al congedo straordinario di cui all’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001 – ovverosia quello di “assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell’assistenza del disabile che si realizzino in ambito familiare, indipendentemente dall’età e dalla condizione di figlio dell’assistito”.
Seguendo questo angolo visuale, la salute psico-fisica del disabile quale diritto fondamentale dell’individuo tutelato dall’art. 32 Cost., rientra tra i diritti inviolabili che la Repubblica riconosce e garantisce all’uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (art. 2 Cost.). Dinanzi a tale ratio legis , la Consulta ritiene quindi violato l’art. 3 Cost. in termini di irragionevolezza, sotto il profilo della scelta dei soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito nella parte in cui è incluso il convivente della persona con handicap in situazione di gravità.

I giudici della Consulta invocano, con questa sentenza, l’art. 3 della Costituzione che tutela l’uguaglianza dei cittadini per affermare che pur “restando comunque diversificata la condizione del coniuge da quella del convivente, la contraddittorietà logica della esclusione del convivente dalla previsione di una norma che intende tutelare il diritto alla salute psico-fisica del disabile”.

Tramite questa rilevante pronuncia la Corte specifica che non si intende equiparare coniuge e parenti ai conviventi ma che si vuole tutelare la salute del soggetto affetto da disabilità assicurandogli la vicinanza della persona con cui ha una “relazione affettiva”. Se questo principio non venisse rispettato, infatti, “il diritto, costituzionalmente presidiato, del portatore di handicap di ricevere assistenza nell’ambito della sua comunità di vita, verrebbe ad essere irragionevolmente compresso, non in ragione di una obiettiva carenza di soggetti portatori di un rapporto qualificato sul piano affettivo, ma in funzione di un dato normativo rappresentato dal mero rapporto di parentela o di coniugio”.

>> Consulta il testo della sentenza Corte costituzionale 23 settembre 2016 n. 213.


VOLUME

La giustificazione delle assenze negli Enti locali

di Livio Boiero

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