La differenza sta qui: mentre la normativa vigente parla di «enti non commerciali» e nulla dice sulla commercialità delle attività, pare di capire che le future norme richiederanno che anche l’attività svolta nell’immobile deve essere «esclusivamente non commerciale». E allora bisogna chiedersi: l’elenco delle attività di cui sopra (previdenziali, assistenziali, culturali e via di seguito) resta valido e questa è un’aggiunta? Oppure questa diventa l’unica condizione: per cui l’esenzione spetterebbe agli immobili degli enti non commerciali totalmente destinati ad attività non commerciali, quali che siano? Il dilemma non è senza conseguenze. La legge italiana considera, infatti, commerciali le attività con prestazioni di servizi fatte in maniera organizzata per le quali si paghi un corrispettivo. Ma una scuola, un ospedale, una struttura ricettiva, per legge, non possono essere fatte che in maniera organizzata. E prevedono il pagamento di un corrispettivo senza del quale si rientra nella beneficenza. Quindi se l’intenzione del governo è aggiungere il criterio della non commercialità dell’attività all’elenco citato, la norma sarebbe di difficile applicazione per tutta una serie di attività: un ospedale (attività sanitaria) dovrebbe essere esente. Ma poiché l’attività ospedaliera rientra tra quelle considerate commerciali, che cosa succederebbe? Perderebbe il diritto all’esenzione? E le scuole? E le case per ferie? Anche la seconda affermazione contenuta nel comunicato necessita di chiarimenti. Il governo intende abrogare «le norme che prevedono l’esenzione per immobili dove l’attività non commerciale non sia esclusiva, ma solo prevalente». Probabilmente qui viene anticipata la volontà di abrogare la norma interpretativa emanata nel 2005 secondo cui l’immobile resta esente anche se l’attività non viene svolta in maniera non esclusivamente commerciale. Ma bisognerà comunque vedere in concreto le norme. Più chiare appaiono le altre due anticipazioni. In un immobile ci possono essere attività esenti ed attività non esenti. Attualmente in questo caso tutto l’immobile viene sottoposto al pagamento del tributo: l’esempio classico è quello della cappellina inserita nell’albergo, per cui l’Ici si paga anche sulla cappellina che di per sé sarebbe esente. Con le nuove norme la cappellina tornerebbe ad essere esente, senza variazioni in catasto. In sostanza, se le nuove norme dovessero essere emanate in questi termini, colpirebbero tutto il mondo del non profit, specie quello che opera nei settori scolastico, sanitario e ricettivo. Senza peraltro portare nelle casse dello Stato le cifre ipotizzate da più parti in questi giorni, dal momento che attualmente l’intera area dell’esenzione dell’Ici (dati del Ministero delle Finanze) vale 100 milioni di euro.
Inoltre resterebbero altri profili problematici. Ad esempio: la casa di riposo gestita da una onlus sarebbe esente (poiché per legge le attività istituzionali delle onlus sono considerate non commerciali). Un’altra casa di riposo gestita da un soggetto non profit che non sia onlus potrebbe non esserlo. Infine sarebbero esenti gli immobili delle associazioni che svolgono attività solo per i propri soci. Così non pagherebbe l’Ici il circolo sportivo per ricchi e la pagherebbe invece l’associazione di periferia che gestisce un campetto per i ragazzi del quartiere.
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