Ministeri, spostamento «congelato»

Fonte: Il Sole 24 Ore

ROMA – La fiducia sul decreto omnibus «conferma che c’è una maggioranza con la quale si può lavorare». Silvio Berlusconi esce dall’aula di Montecitorio spargendo ottimismo sul proseguimento del suo governo e della legislatura. Subito dopo però torna a Palazzo Grazioli per un lungo vertice con Umberto Bossi. Il premier e il Senatur continuano a guardarsi con reciproco sospetto. Aldilà delle dichiarazioni ufficiali, alla rimonta della Moratti su Pisapia non ci crede quasi più nessuno, a partire dai due leader, e lo stesso vale per Napoli, dove De Magistris sarebbe parecchi punti sopra Lettieri, il candidato del centrodestra. E le esternazioni del leader del Carroccio sul trasferimento dei ministeri a Milano seguite dalla reazione interna del Pdl alla vigilia dei ballottaggi certo non aiutano. Così come le voci sempre più insistenti sulla disponibilità della Lega a trattare con l’opposizione una nuova legge elettorale, che qualcuno nel Pdl interpreta come il prologo di un possibile governo tecnico con una maggioranza allargata ai centristi. Nel vertice di ieri sera Bossi ha assicurato di non voler mettere in difficoltà il premier e tantomeno di essere pronto ad aprire una crisi. I due leader avrebbero deciso di accantonare per il momento la questione del trasferimento dei ministeri, di cui si tornerà a parlare dopo le elezioni. «Adesso non possiamo permetterci altre divisioni», hanno convenuto. Quanto alla legge elettorale «sarà fatta di comune intesa», assicurano coloro che erano presenti alla riunione di Palazzo Grazioli. Un faccia a faccia in cui però si è cercato soprattutto di affrontare il dopo ballottaggi, tant’è che nessuno dei due leader sembra intenzionato a scendere in piazza. Entrambi si proiettano sul dopo. A metà giugno arriverà la manovra da 40 miliardi (spalmata su più anni) per raggiungere nel 2014 il pareggio di bilancio. Il rigore dei conti (soprattutto dopo il giudizio negativo di Standard & Poor’s) è prioritario ma politicamente pericoloso. «Dobbiamo dare un segnale di rilancio dell’azione di governo, avviare le grandi riforme a partire da quella fiscale», è stato il ragionamento di Berlusconi e Bossi e che oggi verrà riproposto dal premier in occasione dell’ufficio di presidenza del Pdl. I margini di manovra sono però strettissimi. Qualcuno non esclude che si possa passare per un Berlusconi bis, magari puntando ad allargare ulteriormente la maggioranza. Ma è la stessa ipotesi che circola tra chi ipotizza la nascita di un governo tecnico, con il rientro di Casini e dei finiani nell’alveo del centrodestra, e che avrebbe come punti fondamentali il rilancio dell’economia e la legge elettorale. Un’ipotesi che troverebbe conferma anche nelle fibrillazioni interne al Pdl, in cui ormai ci si muove in ordine sparso con una parte degli ex An pronti ad autorganizzarsi e gli scajoliani che lavorano alacremente per ritrovare l’intesa con l’Udc. In realtà sulla legge elettorale anche Berlusconi sarebbe pronto a trattare. «Il ritorno al proporzionale puro sarebbe certamente un abbandono del bipolarismo che non possiamo accettare – spiega Osvaldo Napoli (Pdl) – ma ci sono ipotesi di mediazione su cui invece non da oggi siamo pronti a confrontarci». Anche perché il ritorno al proporzionale puro, a un sistema di tipo tedesco come quello da sempre sponsorizzato da Casini e D’Alema (ma che non dispiace neppure a Fini) di fatto consentirebbe alla Lega di liberarsi dall’abbraccio obbligato con il Cavaliere. Il Carroccio non ha ancora deciso, ma l’insofferenza monta. Quando Bossi ha detto «non ci faremo trascinare giù dal Pdl», intendeva in realtà «da Berlusconi». Ma il disincanto è reciproco. Anche nel Pdl temono che rimanere agganciati esclusivamente alla Lega possa essere autolesionistico. L’altolà partito sulla richiesta leghista sul trasferimento dei ministeri ne è la conferma palese. Ieri il Cavaliere e il Senatur hanno deciso di comune accordo di congelare per il momento l’ipotesi, ma Bossi prima del vertice era stato chiaro: «Berlusconi si convincerà». © RIPRODUZIONE RISERVATA DOVE SI VOTA Sei province e 13 capoluoghi Domenica 29 (dalle 8 alle 22) e lunedì 30 maggio (dalle 7 alle 15) si vota per il secondo turno della tornata elettorale per il rinnovo dei presidenti provinciali, sindaci e consigli provinciali e comunali Il ballottaggio riguarderà sei province (Vercelli, Mantova, Pavia, Trieste, Macerata e Reggio Calabria); i sindaci di 87 Comuni con popolazione superiore a 15mila abitanti, compresi 13 capoluoghi (Milano, Napoli, Cagliari, Trieste, Novara, Varese, Pordenone, Rovigo, Rimini, Grosseto, Cosenza, Crotone e Iglesias) e un Comune con popolazione inferiore a 15 mila abitanti (Fraine, in provincia di Chieti) Alla chiusura dei seggi sono previste proiezioni per i risultati di Milano e Napoli.

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