La via breve per il nuovo lavoro

Fonte: Il Sole 24 Ore

Dopo sette passaggi parlamentari tra Camera e Senato, due anni d’incubazione, infinite discussioni sulla morte del diritto del lavoro, moltissimi emendamenti e sterminate riunioni sindacali, l’altro ieri è stato finalmente approvato il collegato lavoro e, con esso, le disposizioni relative all’arbitrato secondo equità che avevano indotto il presidente della Repubblica a rispedire alle Camere il testo della legge. Si tratta di un testo ragionevole che ha recepito, nell’infinito periodo di gestazione, le indicazioni del capo dello Stato e quelle delle parti sociali, tutte concordi nel voler escludere i licenziamenti dalle materie ricorribi-li per via arbitrale. Ciò nonostante un’importante parte dell’opposizione e la Cgil continuano a ripetere che si tratta di una «controriforma che riporta i diritti indietro di anni» e «di una legge sbagliata che colpisce il futuro dei lavoratori». Si tratta di affermazioni molto forti ma che, soprattutto alla luce delle modifiche volute dal presidente della Repubblica e dai sindacati, sembrano condizionate da pregiudizi ideologici, perché rifiutano di confrontarsi con alcuni problemi concreti del nostro diritto del lavoro. Primo fra tutti quello teso ad assicurare una giustizia del lavoro rapida ed efficace. Mi spiego meglio. Mediamente – o meglio quando tutto va bene e non cambia il giudice – un lavoratore o un’azienda che vuole avere giustizia deve aspettare più di due anni e mezzo per arrivare a una sentenza di primo grado. Altri due anni per la sentenza di appello e altri due qualora decida di fare ricorso per Cassazione. Si tratta di tempi lunghissimi, destinati ad allungarsi ulteriormente se si considera che ogni anno vengono instaurati 400mila procedimenti in materia di lavoro e di previdenza. Ora, tra queste vertenze ci sono quelle che riguardano i licenziamenti ma anche quelle di modesto valore che riguardano lo svolgimento del rapporto di lavoro, quali ad esempio quelle relative alle qualifiche professionali, all’esercizio del potere disciplinare, ai trasferimenti. Si tratta di questioni importanti che s’innestano nella vita di un rapporto di lavoro e che necessitano di essere risolte velocemente, nell’interesse sia del datore di lavoro che del lavoratore. Perché per entrambi è molto meglio sapere subito se un provvedimento disciplinare o un trasferimento è legittimo piuttosto che attendere due anni e mezzo una sentenza che dia ragione all’uno o all’altro. Non fosse altro che nel corso di questo periodo, pur litigando in sede giudiziale sulla legittimità del provvedimento, sono costretti a collaborare sul versante del rapporto di lavoro. Un tempo infinito che crea incertezza del diritto e mina la fiducia tra le parti del rapporto di lavoro che, pur continuando a collaborare nell’azienda, vengono trascinate in un conflitto giudiziale che dura anni. Un tempo troppo lungo che può danneggiare sia il lavoratore, che deve attendere anni per conoscere a quale sorte andrà incontro, sia l’azienda, perché la durata dei processi rende incerte le decisioni imprenditoriali e aumenta in modo spropositato l’entità dei risarcimenti ed è fonte di conflitti che minano il clima aziendale. Ed è per questo che, sulla scorta dell’esperienza anglosassone della alternative dispute resolution, il governo, Confìndustria, Cisl, Uil, Ugl e tante altre organizzazioni sindacali hanno ritenuto che fosse utile promuovere l’arbitrato per equità. Perché se ci sono questioni che attengono all’esistenza stessa del rapporto di lavoro e che per questo necessitano di essere decise dai giudici dello stato italiano all’esito di un’accurata istruttoria, ce ne sono tante altre che, per concorde volontà delle parti, possono essere decise secondo equità da arbitri che godano della loro fiducia. E in tempi tali da non compromettere quella fiducia che deve essere alla base di ogni rapporto di lavoro. Perché, come insegnavano gli antichi, la giustizia per essere tale deve arrivare in tempi ragionevoli, altrimenti è solamente un risarcimento, o una punizione, che interviene a tempo scaduto.

 

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