Italiani senza Italia

Fonte: Corriere della Sera

Tra le tante anomalie italiane c’è anche quella che siamo riusciti a inventarci una destra di governo che salvo lodevoli eccezioni si mostra ostile, o al più indifferente, alla dimensione dello Stato nazionale. A cominciare dalla sua componente più essenziale e concreta: il territorio. Intendo il territorio nei suoi aspetti generali riguardanti il paesaggio, cioè l’insieme dei caratteri geomorfologici, i fiumi, le coste, le montagne della Penisola. Fino a oggi gli italiani potevano pensare di essere, in quanto tali, padroni del proprio Paese. Ora non più. Fino a oggi un siciliano poteva legittimamente essere convinto che le Dolomiti erano per così dire anche sue, così come un piemontese era autorizzato a credere la stessa cosa, chessò, delle pendici dell’Etna o dell’Isola delle Femmine. Mi piace credere che la proclamazione da parte della nostra Carta costituzionale della Repubblica come «una e indivisibile» significasse anche questo: che tutta l’Italia era di tutti gli italiani. Così come di tutti erano gli edifici di pubblica utilità costruiti sul suo suolo (porti, fari, caserme, ecc.). Demanio significava fino a oggi esattamente questo tipo di proprietà, idealmente indivisa. Della quale, naturalmente, poteva disporre solo lo Stato, cioè solo il potere politico centrale, alla cui definizione concorrono per l’appunto tutti i cittadini. Ma ormai tutto ciò, come dicevo, sta per appartenere al passato. Ormai, in base al federalismo fiscale – che ha fatto l’altro giorno un altro passo avanti con la pubblicazione dell’elenco degli oltre dodicimila «luoghi» dismessi dallo Stato – le Dolomiti, i fari, pezzi della collina di Superga, tratti di fiumi e di torrenti, isole e isolotti, interi tratti di coste e tutto ciò che vi è edificato sopra sono sul punto di uscire dall’ambito dell’am-ministrazione statale per passare agli enti locali. A decidere dunque che cosa farne – se vendere questo o quel pezzo di montagna a un privato per costruirvi una discoteca o un grande albergo, se affittare le rive di un fiume a un club del golf, se invece aprirvi una cava di ghiaia e così via – saranno d’ora in poi i consigli comunali, provinciali o regionali. O meglio: le rispettive giunte e assessorati. Sappiamo per esperienza che cosa allora dobbiamo aspettarci: la rovina definitiva del paesaggio e del patrimonio naturalistico del nostro Paese, la sua totale mercificazione- cementificazione. Come accaduto altre mille volte in passato, infatti, élite politiche e amministrazioni locali ?anche al Nord, con buona pace dei leghisti? faranno a gara nello stravolgere e distruggere il nuovo patrimonio acquisito sotto la spinta coalizzata degli interessi privati forti e insieme delle minute richieste dei loro elettori, delle invincibili tentazioni tangentizie o magari, nel caso migliore, dei progetti più strampalati. Ci si accorgerà a quel punto di come nei fatti, in questo come in molti altri campi, il potere centrale e le sue amministrazioni diano ben maggiori garanzie d’onestà e d’efficacia di qualunque altro: sia perché comunque gestiti da un personale più capace e selezionato, sia perché più sottoposti al controllo dei media e perciò dell’opinione pubblica. Ma a quel punto sarà troppo tardi. A quel punto, infatti, l’Italia non ci sarà davvero più perché anche dal punto di vista fisico essa sarà virtualmente sparita. E insieme saranno svaniti i valori ambientali e culturali che per secoli essa ha rappresentato.

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