Il piano di riequilibrio sospende il default

Fonte: Italia Oggi

Nel caso in cui il procedimento di dissesto guidato sia stato sospeso per effetto del ricorso, da parte dell’ente locale, alla procedura di riequilibrio finanziario prevista dall’articolo 243 bis del Tuel, la predetta sospensione si ritiene valida a condizione che lo stesso ente adotti, entro 60 giorni il piano di riequilibrio.

Infatti, se all’autonoma decisione dell’ente di ricorrere a tale rimedio non seguono i successivi provvedimenti, si viene a determinare una situazione di grave precarietà finanziaria e amministrativa che impone il ricorso alla procedura di dissesto guidato.

È quanto ha messo nero su bianco la sezione autonomie della Corte dei conti, nel testo della deliberazione n.13/2013, risolvendo così la richiesta di intervento formulata dalla sezione regionale di controllo della Corte siciliana, in merito alle conseguenze del mancato rispetto della presentazione del piano di riequilibrio da parte di un ente locale su cui si era già posata la «lente» della stessa magistratura contabile siciliana, per la presenza, tra le pieghe di bilancio, di comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria.

Secondo la sezione autonomie, le norme contenute nel dlgs n.149/2011 e quelle innovative del decreto legge n.174/2012, devono essere necessariamente raccordate. Appare verosimile, sotto questo profilo, ritenere che la sospensione decisa dal legislatore nel citato dl n.174, sia finalizzata a verificare se le situazioni «traballanti» dell’ente (ad esempio, le irregolarità contabili o la violazione del patto di stabilità) già accertate dalla competente sezione regionale di controllo, possano trovare un valido rimedio nelle ulteriori potenzialità di risanamento offerte dal piano di riequilibrio. Sul piano sostanziale, ha ammesso la Corte, tale procedura contiene gli elementi strutturali per poter divenire uno strumento di risanamento dell’ente. Se, però, con la mancata presentazione del piano di riequilibrio, vengono a mancare tali ulteriori elementi di valutazione, è pacifico che «rivive» il procedimento valutativo iniziato dalla Corte regionale ai sensi del dlgs n.149/2011 e approdato all’individuazione delle misure correttive che devono essere imposte all’ente.

A maggior ragione, sottolinea la Corte, basti pensare che la ratio del rinvio diretto all’intervento del prefetto (ex art.6, comma 2 dlgs n.149/2011) risiede nella necessità di prevedere un momento di chiusura vincolante nel momento in cui vengono meno le finalità che supportano la decisione di ricorrere alla procedura di riequilibrio. Quando un ente locale ricorre alla «ciambella di salvataggio» rappresentata dal piano di riequilibrio finanziario, lo fa perché ha già verificato che gli squilibri di bilancio che, in breve termine, lo porteranno al default non possono essere sanati con le normali misure di salvaguardia previste dagli articoli 193 e 194 del Tuel.

Ma se alla decisione di ricorrere all’ultima speranza del piano di riequilibrio non dovessero seguire gli atti consequenziali (ovvero l’approvazione del piano nei termini di legge), si concretizzano i presupposti per dichiarare la grave precarietà della situazione finanziaria ed amministrativa dell’ente, imponendo senza alcun indugio i rimedi risolutivi imposti dall’ordinamento, ovvero la dichiarazione di dissesto e l’attività sostitutiva/esecutiva affidata al prefetto che sottrae agli organi di governo dell’ente il potere di ogni iniziativa in merito.

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