I dieci peccati originali degli avvisi esecutivi

Fonte: Il Sole 24 Ore

Per gli accertamenti esecutivi è l’ora della verità. Il voto sugli emendamenti al decreto sviluppo (Dl 70/2011) ora all’esame della Camera scioglierà i dubbi sull’estensione della sospensiva. Le categorie produttive hanno chiesto che l’efficacia sia sospesa fino al giudizio di primo. Ora si tratterà di capire se Governo e Parlamento verranno incontro alla richiesta oppure sceglieranno una soluzione più limitata, portando il termine di congelamento dei pagamenti da 120 a 180 giorni (si veda «Il Sole 24 Ore» di sabato scorso). Eppure quello della sospensiva non è l’unico nervo scoperto della disposizione che entrerà in vigore dal prossimo 1° luglio. Ci sono almeno dieci fronti critici (come riportato nello schema a lato), frutto anche dell’inserimento di un intervento così strutturale in un decreto legge (articolo 29 del Dl 78/2010). Proviamo a vedere quali sono i più importanti. I nodi principali. La previsione dell’esecutività dell’avviso di accertamento «decorsi sessanta giorni dalla notifica» è, di fatto, priva di contenuto effettivo. L’intimazione al contribuente di provvedere al pagamento è stabilita «entro il termine di presentazione del ricorso». Un termine che può essere di 60 giorni, ma anche di 150 in presenza di istanza di accertamento con adesione (ipotesi quasi sempre praticata dal contribuente), o ancora di 196 giorni, in presenza di istanza di accertamento con adesione e pausa feriale dei termini processuali dal 1° agosto al 15 settembre. Criticità emergono anche sul fronte del fondato pericolo per la riscossione. Equitalia potrà intervenire anche prima del termine per presentare ricorso e del termine entro il quale il carico (in pratica la somma da recuperare) verrà affidato all’agente. Di fatto il concessionario potrà muoversi ancora prima dei giorni dati al contribuente per eseguire il pagamento. Senza contare che la norma non dice nulla riguardo la necessaria e essenziale motivazione che giustifica la procedura di riscossione straordinaria. Per le difese del contribuente, l’aspetto più preoccupante è quello in cui l’«intimazione ad adempiere» e l’esecutività vengono estese anche agli atti successivi. Si tratta di quelli che ricalcolano gli importi precedentemente contestati nell’atto di accertamento esecutivo. La norma “parla” delle somme dovute in pendenza di giudizio e di processo tributario. In questi ultimi casi, il versamento degli importi deve avvenire entro sessanta giorni dal ricevimento della raccomandata. Quindi se la sentenza le è favorevole, l’amministrazione finanziaria deve comunicare, tramite raccomandata, le cifre dovute per effetto della pronuncia. La raccomandata diventerebbe, così, un’intimazione. Si arriva così al paradosso che solo le sentenze favorevoli al fisco diventano esecutive. Quelle sfavorevoli, invece, non lo sono come del resto le pronunce su atti di accertamento che non sono esecutivi (è il caso, ad esempio, del contenzioso instaurato a fronte di un silenzio rifiuto avverso un’istanza di rimborso del contribuente). Si verrebbe così a creare una sorta di doppio binario, con sentenze delle commissioni tributarie che sono esecutive ed altre che non lo sono. Il che, evidentemente, non è possibile e rende l’idea, considerando l’importanza della questione, di quanto l’intervento andasse approfondito più nel dettaglio. Altra scelta critica è stata quella di “agganciare” l’esecutività dell’avviso alla notifica. Dopo l’atto di accertamento, il contribuente non riceverà più (ad eccezione per l’ipotesi del pignoramento, per il quale – trascorso un anno dalla notifica dell’accertamento – l’agente deve notificare l’intimazione ad adempiere entro cinque giorni) alcuna comunicazione e il concessionario della riscossione potrà iniziare l’azione di recupero del credito. In presenza di vizi della notifica dell’atto di accertamento, però, si verranno a creare dei seri problemi sulla difesa del contribuente, con un aggravio del contenzioso (che non giova neanche all’amministrazione) sulle procedure esecutive.

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