La Commissione bicamerale per il federalismo fiscale sta finendo di discutere la relazione sul finanziamento degli enti territoriali. La bozza predisposta accenna, com’è ovvio, anche all’imposta unica comunale (l’aggettivo qui scelto non è il «municipale» corrente), riferendo che dovrebbe ricomprendere anche «l’Ici sulle seconde case (e sulle prime case di lusso)». Ancora una volta occorre segnalare uno strafalcione che si ripete periodicamente, fin dall’annuncio, nella prima seduta del presente governo, della soppressione dell’Ici sulla prima casa. Tale soppressione, abbastanza demagogicamente, non è stata completa, perché ha escluso (decreto-legge n. 93 del 2008, come convertito) le unità immobiliari «di categoria catastale A1, A8 e A9», che sono rispettivamente le abitazioni «signorili», le «ville» e i «castelli e palazzi di eminenti pregi artistici e storici». Si dirà: vabbè, ma l’espressione «di lusso» viene usata per ragioni di sintesi. Nossignori, perché nell’ordinamento gli immobili «di lusso» sono altra cosa. C’è uno specifico decreto ministeriale, del 2 agosto 1969, che ne prevede le caratteristiche quanto a superficie, terrazze, ascensori, scala di servizio, infissi, pavimenti, soffitti ecc. Nella categoria A1 rientrano pure immobili con caratteristiche più che comuni (a Roma, per esempio, anche mini-appartamenti ricavati dal frazionamento di ville di pregio). Se coloro che legiferano usano espressioni scorrette ed erronee nelle relazioni, c’è da pensare che ignorino quello di cui scrivono, ma c’è pure da temere: quando stendono testi normativi, sono altrettanto faciloni, sciatti, impropri? A giudicare dalle leggi approvate, c’è da rispondere sì.
Federalismo sì, ma parlando la stessa lingua nelle leggi
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