Federalismo demaniale in soffitta

Fonte: Italia Oggi

La crisi manda in soffitta il federalismo demaniale. L’attuazione del dlgs 85/2010 (quello per intenderci che avrebbe dovuto trasferire il lago di Garda ai gardesani e la proprietà di caserme, fari, spiagge, case cantoniere, università, persino porzioni di Dolomiti ai comuni) va verificata e «se necessario rivista».

Perché in questo momento le priorità sono altre, ossia «una decisa riduzione del debito pubblico». Come dire, in tempi di crisi non è il momento di fare regali. Lo scrive la Commissione bicamerale presieduta da Enrico La Loggia nella risoluzione che approverà martedì. Un documento in 15 punti in cui le forze che sostengono il governo Monti (Pdl, Pd e Terzo Polo) indicheranno all’esecutivo un cambio di rotta. Per rivitalizzare il federalismo (il termine per l’esercizio della delega è scaduto il 21 novembre 2011, ma ci sarà tempo fino al 2014 per varare eventuali decreti integrativi e correttivi) ma anche per rimediare a una riforma, come quella delle province, fatta forse in modo un po’ frettoloso e senza considerare «l’impatto che il trasferimento delle funzioni e delle risorse oggi gestite dalle province avrà sui bilanci e sull’organizzazione di regioni e comuni».

Per questo i parlamentari di palazzo San Macuto chiedono al governo di prorogare fino al 31 marzo 2013 gli organi di governo delle province in scadenza entro fine anno, in attesa che il parlamento approvi «una riforma organica delle istituzioni di area vasta». E pazienza se già in sei amministrazioni (La Spezia, Vicenza, Genova, Belluno, Ancona e Como che non sono andate al voto il 6 e 7 maggio) si sono insediati i commissari prefettizi per gestire, in attuazione di quanto previsto dal dl Salva Italia, la trasformazione delle province in enti di secondo livello.

Federalismo demaniale. Il demanio agli enti locali doveva essere il primo dono del federalismo fiscale e per questo fu annunciato in pompa magna da Roberto Calderoli. Ma da quel lontano 20 maggio 2010, data di approvazione del decreto, poco o nulla si è mosso. I due dpcm, uno con l’elenco dei beni che potranno passare dal centro alla periferia e l’altro con quelli esclusi dal trasferimento in quanto funzionali alle esigenze della pubblica amministrazione, sono stati approvati in Conferenza unificata con il consenso di Anci e Upi lo scorso mese di luglio, ma non si sa perché poi se ne siano perse le tracce. In ballo ci sono circa 12 mila beni individuati come trasferibili in via preferenziale ai comuni (valore più di 2 miliardi) per i quali molti municipi hanno predisposto piani di valorizzazione e recupero.

Ma già a novembre l’aria di crisi aveva convinto Giulio Tremonti che un ripensamento fosse necessario. L’ex ministro dell’economia non aveva fatto mistero di puntare molto sulla dismissione dell’enorme patrimonio immobiliare dello stato (1.800 miliardi, quasi quanto il debito pubblico che ha appena toccato quota 1.946 miliardi) per fare cassa. Tanto che, nella lettera inviata all’Ue qualche settimana prima di dare le dimissioni, il governo Berlusconi si era impegnato a predisporre un piano triennale di dismissioni del valore di 15 miliardi di euro.

Oggi i deputati della maggioranza che sostiene il governo nella risoluzione unitaria che approveranno martedì sembrano andare sulla stessa strada. La Lega ovviamente non ci sta. E infatti ha presentato una propria proposta di risoluzione in cui si chiede al governo di spiegare perché il federalismo demaniale sia stato affossato e perché non siano stati emanati i dpcm che avrebbero consentito alle autonomie locali di avere un proprio patrimonio da mettere a reddito.

Bilancio di mandato. Ma un’altra bordata al governo Monti la Commissione La Loggia la tira a proposito del dietrofront sul bilancio di fine mandato. Il testamento politico dei sindaci, clou del decreto legislativo su premi e sanzioni (dlgs 149/2011), avrebbe dovuto debuttare con le elezioni amministrative di maggio. Ma il ministro dell’interno Anna Maria Cancellieri ha esonerato dall’obbligo i primi cittadini in scadenza. La proroga è stata motivata dai ritardi accumulati dal Viminale nella predisposizione dello schema di bilancio a cui gli enti avrebbero dovuto uniformarsi. La Bicamerale senza mezzi termini boccia la decisione del governo, valutandola «negativamente» perché non ha consentito «l’attivazione della procedura di controllo e valutazione da parte dei cittadini fin dal turno di elezioni amministrative di maggio 2012». Anche se, a giudicare dai risultati, verrebbe da dire che gli elettori un’idea su come sono stati governati se la siano fatta. Pur senza bilancio di fine mandato.

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