Se fallisse l’ipotesi di Governo tecnico e si votasse subito, avremmo ancora il bicameralismo perfetto e per un’altra legislatura ancora dovremmo dire addio al taglio dei parlamentari e dei costi della politica dei palazzi romani. Dovremmo riporre nei cassetti la voglia (presunta) della casta di abolire le province. La riforma del fisco e dell’assistenza, asse portante della manovre estive che contabilizzano comunque 20 miliardi di risparmi con la clausola di salvaguardia, resterebbe nel limbo. E diventerebbe carta straccia la promessa alla Ue di sancire in Costituzione l’obbligo del pareggio di bilancio. Le elezioni anticipate sancirebbero il fallimento finale di quelle riforme annunciate con la grancassa da Berlusconi nel frastuono delle manovre che si sono rivelate inutili degli ultimi quattro mesi. Riforme che la Ue si attende. Ma che non ci sarebbe più il tempo di realizzare. E anche di questo, con tutte le insidie del caso, dovrebbe farsi carico un Governo che durasse fino ai primi mesi del 2013. La crisi e l’eventuale ricorso anticipato alle urne non lascerebbero più scampo almeno a una ventina di leggi già in cantiere. E di questo tutti i partiti, così come il Colle, stanno ragionando, sia per scandire il timing di lavoro di un nuovo Governo e di un Parlamento che non venisse sciolto subito, sia per mettere a fuoco gli effetti che avrebbe davanti agli elettori (e dunque per i partiti) il mancato varo di leggi davvero popolari, a partire dal dimezzamento dei parlamentari e delle province. Dopo quattro Governi in 3 legislature e 3.333 giorni da primo ministro dal 10 maggio 1994 a oggi e con un carniere di 817 leggi totali fatte sotto il suo segno esclusivo, l’addio ormai prossimo di Berlusconi lascia comunque in Parlamento un puzzle di leggi assai difficili da ricomporre. Con l’addio del Cavaliere lo stop alle intercettazioni, processo lungo e prescrizione breve, riforma costituzionale della giustizia sono ormai definitivamente su un binario morto. La legge anticorruzione, già edulcorata rispetto agli impegni propagandistici della maggioranza, andrebbe in soffitta, a meno che un nuovo Governo non la riprenda per i capelli e la riscriva di sana pianta. Le due leggi Comunitarie in cantiere (per il 2010 e il 2011) dovrebbero fare l’anticamera chissà ancora per quanto tempo con buona pace dell’europeismo italiano. Di biotestamento sarà sicuramente meglio non parlare per evitare crociate di religione. Lo stesso federalismo perderebbe qualche pezzo con l’aggancio mancato ad altre leggi sulla rampa di lancio: dal codice delle autonomie allo stesso eventuale fallimento del “Senato delle Regioni”, fino alla mancata riforma delle Conferenze tra Governo e autonomie locali. Se si vota nei primi mesi del 2012, salta tutto. Se il Parlamento andrà avanti almeno per 12-14 mesi, ci sarà qualche chance. Magari anche per il sostegno alla crescita, di cui a palazzo Chigi, a dispetto degli impegni con la Ue, ormai si sono perse le tracce.
Con il voto a rischio il taglio dei deputati
Con la crisi si fermano anche l’abolizione delle province, il pareggio di bilancio e il riassetto di fisco e assistenza
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