Blocca-contratti anche alle società

Fonte: Il Sole 24

A questo punto, la volontà del Governo è esplicita. Il tetto del 40% nel rapporto fra spese di personale e uscite correnti, che impedisce agli enti locali di assumere e di firmare contratti di qualsiasi tipo, compresi i rinnovi dei rapporti a termine, non si ferma sulle porte del Municipio, ma si estende anche all’interno della holding comunale. Per calcolare il 40 per cento, spiega la manovra approvata giovedì scorso dal consiglio dei ministri, bisogna tener conto anche delle spese delle società controllate, che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali o svolgano funzioni di interesse generale (con esclusione delle attività industriali e commerciali), e le società strumentali. Una regola cruciale, su cui si gioca il destino di chi ha vinto un concorso e attende un’assunzione, o dei tanti che ancora hanno contratti a termine e temono di perdere la chance del rinnovo. Ma andiamo con ordine. Il punto di partenza è la manovra dell’anno scorso, che ha fissato il blocca-contratti per gli enti che spendono troppo nel personale. Sul tema, si era acceso un dibattito fra gli enti e la Corte dei conti, per capire se le società partecipate fossero o no incluse nella tagliola. Dopo risposte di segno diverso dalle varie sezioni regionali, erano intervenute le Sezioni riunite (delibera 27/contr/2011) per sottolineare che le partecipate potevano rappresentare (come spesso accaduto in passato) uno strumento per aggirare i limiti, e che per evitare questo dribbling andavano incluse nel tetto. Apriti cielo: nei Comuni ci si è avventurati in calcoli complicati, e una prima elaborazione sui capoluoghi mostrava che da Trieste a Padova, da Asti a Firenze erano almeno 18 le città fuori dal tetto (si veda Il Sole 24 Ore del 20 giugno). Nella manovra il Governo blinda per legge l’interpretazione dei magistrati contabili, e fa un passo in avanti provando a chiarire quali società vanno considerate nei calcoli. Si tratta di quelle in cui l’ente locale possiede tutte le quote o almeno quelle di controllo: se sono attive nei servizi pubblici locali, entrano nel vincolo quando sono affidatarie dirette senza gara, mentre fuori da questo campo sono colpite quando svolgono funzioni «di interesse generale» che non siano di tipo industriale o commerciale, oppure quando sono strumentali al funzionamento delle amministrazioni. In pratica, si colpiscono tutti gli affidamenti diretti e le società di interesse economico generale. L’affondo del Governo ha un chiaro valore anti-elusivo, perché le società sono state spesso usate (anche) per escludere spese dai vincoli posti ai bilanci comunali e nel nuovo quadro questa mossa sarà decisamente più difficile. Unita a un’altra novità della manovra, che decreta la nullità automatica dei contratti di servizio e degli altri «atti» messi in campo per aggirare i vincoli del patto, la regola pone ora un argine piuttosto alto ai tentativi di “autodifesa” gestionale portati avanti dalle amministrazioni locali. Proprio per questa ragione, un primo esame indica che le conseguenze più pesanti si incontreranno nei Comuni “ricchi” di società strumentali, che spesso sono state costituite per spostare uscite dal bilancio comunale ai tempi del patto fondato sui tetti di spesa. I problemi operativi, però, rimangono importanti, soprattutto in una norma di carattere interpretativo che quindi assume valore retroattivo. Il punto chiave sono le modalità di calcolo, perché il passaggio dai conti del Comune a quello delle società non è semplice. Prima di tutto, ci sono spese che i Comuni erogano in favore delle società, e che tornano quindi anche nel conto economico della partecipata quando li utilizza per le varie finalità. È naturale che queste poste non devono essere calcolate due volte, perché si tratta sempre delle stesse risorse. Per individuare le spese societarie, il riferimento è il conto economico, che andrebbe però depurato di grandezze prive di significato finanziario come ammortamenti, accantonamenti e svalutazioni. Temi delicati, che vanno chiariti al più presto anche perché dall’incrocio fra spese di personale e uscite correnti dipende il futuro professionale di molti.

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