Quali regioni considerare per il benchmark, quando far partire la rivoluzione in sanità anche solo come sperimentazione, che garanzie avere sul pieno finanziamento dei Lea, i livelli essenziali di assistenza, o sul loro taglio se le risorse finanziarie venissero ridotte dal governo. La partita sui costi standard sanitari per asl e ospedali entra nel vivo del confronto politico e le regioni scaricano sul tavolo col governo tutti i nodi irrisolti e ancora senza risposte, anche con posizioni non del tutto coincidenti, a parte i presidenti del Carroccio che camminano per conto proprio. Per i governatori, con la sanità che rappresenta in media il 73% dei loro bilanci, la partita dei costi standard per la salute è la scommessa delle scommesse. Questione di sopravvivenza per il sud, ma di certezze anche il centro-nord più o meno virtuoso. L’affondo – o la difesa delle proprie posizioni – l’hanno già lanciato la settimana scorsa i governatori del sud, in testa quelli (Lazio, Campania, Molise e Calabria) sotto il doppio schiaffo del commissariamento e della prossima valutazione dei piani di rientro, che se approvati permetterebbero di non applicare le maxi addizionali Irpef e Irap a carico di cittadini e imprese. La richiesta, rinviata al mittente dal ministro della Salute, Ferruccio Fazio, è stata esplicita: inserire nel benchmark almeno una delle regioni con i piani di rientro. La paura è altrimenti, proprio nel bel mezzo dei progetti di risanamento, di dover stringere ancora di più la cinghia, e così di far fallire i piani. Ma, oltre che al governo e ai leghisti, l’idea non piace a molte regioni da Roma in su. Anche se nel governo ci sarebbero umori non negativi sull’inserimento di criteri di ponderazione che tengano conto anche dell’indice di deprivazione (la povertà), e non solo dell’età della popolazione, che evidentemente farebbero comodo al mezzogiorno d’Italia. È anche questo aspetto che nei prossimi giorni sarà al centro del confronto politico. Senza però che il nodo venga sciolto prima del consiglio dei ministri che varerà in prima lettura il decreto delegato. Decisivi, insomma, sarebbero i successivi passaggi istituzionali in parlamento e in conferenza Stato-regioni. D’altra parte ieri il capofila degli assessori al bilancio, Romano Colozzi (Lombardia), ha messo in fila nella presentazione del decreto alle regioni una serie di problemi aperti, dando già risposte per conto della sua regione ma precisando che su un tema così delicato «serve una condivisione ampia, per evitare lacerazioni nel paese e fra le istituzioni». Ecco così la proposta di anticipare al 2012 (non al 2013) la «prima applicazione» dei costi standard. Ed ecco ancora la proposta di considerare per il benchmark i tre anni precedenti l’avvio del nuovo sistema (e non solo il secondo anno antecedente) per «ridurre l’impatto di eventi straordinari e fotografare situazioni di oggettiva stabilità e rispetto delle regole». Infine un’ultima considerazione, su cui la condivisione tra le regioni dovrebbe essere totale: è apprezzabile che la bozza di decreto «non lasci spazio a chi – ha detto Colozzi – avrebbe voluto usare i costi standard per giungere alla riduzione del fondo sanitario». E tuttavia sarebbe meglio precisare che «a un’eventuale riduzione delle risorse deve corrispondere una coerente ridefinizione dei Lea». Come dire, chi taglia se ne assuma tutte le responsabilità.
Benchmark basati sugli ultimi tre anni
Costi standard. La controproposta lombarda
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