ROMA – C’è l’Amia, azienda oggi commissariata, che avrebbe dovuto smaltire i rifiuti di Palermo, ma che fra le righe del bilancio metteva in conto 24 “missioni” a Dubai, con cene a base d’aragosta e sponsorizzazioni a locali gare di off-shore. C’era l’Aser, società mista che recuperava crediti per conto del comune di Aprilia trattenendosi margini di guadagno del 30 per cento e che, avendo ottenuto in appalto anche la cura del verde, metteva in conto alla giunta 5 milioni di euro per qualche palma piantata in piazza. C’è la Palermo Energia nata per occuparsi, appunto, di energia e che un bel giorno pensò di riconvertirsi alla forniture di custodi e autisti per una Provincia – sempre quella di Palermo – che fra i suoi 1.515 dipendenti non riusciva a trovarne personale adatto a tali mansioni. Tanto per occuparsi della missione originaria era già stata creata una nuova società.
Sono molte le storie di ordinaria cattiva gestione nell’immenso panorama delle aziende partecipate e controllate dagli enti locali. E sono tante le gonfiature degli organici, le nomine di direttore generali non esattamente necessari e i buchi in bilancio. Per capire la dimensione di quello che viene chiamato “capitalismo municipale” bisogna fare riferimento all’operazione trasparenza del ministero della Pubblica amministrazione. Nel 2009 alla voce Consoc (consorzi e società partecipate dalla pubblica amministrazione) l’elenco raggiunge quota 7.106 (4.741 società partecipate più 2.365 consorzi, per un totale di 24.713 componenti nei consigli di amministrazione), il 5 per cento in più rispetto al 2008. Un fenomeno che lievita di anno in anno, ora è nel mirino di una Finanziaria che chiede ridimensionamenti e tagli. Anche perché in tanto proliferare gli utenti non hanno guadagnato nulla: nel decennio 1996-2006, afferma Unioncamere, le tariffe dei servizi pubblici sono aumentate del 40 per cento.
Ma al dì la delle dichiarazione d’intenti la battaglia sarà dura. Numeri e cronaca non depongono a favore: il Comune di Roma, per esempio, ha un’ottantina di partecipate (che il sindaco Alemanno assicura di voler dimezzare). Molte sono in netta perdita, a partire dalla società di trasporti Atac che prevede per il 2010 una gestione in rosso per 172 milioni di euro. Massimiliano Valeriani, consigliere Pd al Campidoglio e presidente alla Commissione Trasparenza, assicura che dietro tali risultati c’è spesso “la totale incapacità di manager scelti con criteri clientelari”. Di fatto il 40 per cento delle società locali chiude in rosso e il 22 per cento, fra il 2005 e il 2007 non ha prodotto un euro di utile. Dati che si spiegano con le parole spese qualche settimana fa dal Procuratore generale della Corte dei Conti Mario Ristuccia. Le società partecipate sono “un’armata di presidenti e consiglieri” che, si legge nel Rendiconto generale, si occupano “dai rifiuti all’energia, dal trasporto alla gestione delle case-vacanza, alle tlc. Un elenco di attività utili sovente a procurare opportunità di comoda collocazione a soggetti collegati con il mondo della politica”. Confindustria non ha un’opinione migliore: nell’ultima assemblea generale la Marcegaglia tuonò contro “le 7000 municipalizzate che fanno concorrenza sleale e danno appalti solo ai soliti amici”.
Tante poltrone, spesso inutili. “Alla Palermo Energia – racconta Gaetano Lapunzina capogruppo Pd alla Provincia – abbiamo appena denunciato l’assunzione di un direttore generale che non serve e pesa sui bilanci con una gratifica di 150 mila euro l’anno”. Ma il problema non riguarda solo il Sud. Secondo il rapporto Unioncamere, il 78 per cento delle società partecipate e controllate dagli enti locali risiede al Centro Nord e la loro situazione economica non è delle migliori: il loro patrimonio netto era pari all’85% dei debiti nel 2003, nel 2007 copriva solo il 65,7%. Eppure anche la Lega difende a spada tratta province e controlli municipali. Le resistenze sono fortissime: lo assicura Linda Lanzillotta, che da ministro del governo Prodi ha combattuto per le liberalizzazioni: “Le partecipate sono spesso luoghi dove vengono collocati politici privi di competenza. Non sempre è così, ci sono casi d’eccellenza e bisogna tenerne conto, per questo Tremonti sbaglia nel voler tagliare senza distinzioni. L’unica strada da percorrere è l’apertura al mercato: spesso i contratti delle municipalizzate sono assegnati “in house”, senza gara. Una pratica inaccettabile”.
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