Ai fondi comunitari servono le priorità

Fonte: Il Sole 24 Ore

Il commissario europeo alle Politiche regionali ha ben esplicitato la grande verità sull’uso dei fondi comunitari in Italia: le amministrazioni regionali e statali non hanno difficoltà a scrivere i programmi e a individuare obiettivi plausibili. Non sanno invece realizzarli! Sono i dati che parlano: a dicembre 2010, su un totale di 59,4 miliardi di euro, tra fondi comunitari e cofinanziamento nazionale, la spesa è ferma al 12,2% (7,2 miliardi), mentre gli impegni sono al 22,7%(13,5 miliardi). Altrettanto grave la rilevazione per il Mezzogiorno, dove, tra Poin, Por e Pon, di 47 miliardi se ne è spesi appena il 10% (4,8 miliardi), mentre gli impegni in progetti operativi sono al 19% (8,9 miliardi). È evidente che, nella difficile situazione economica e con le scarsissime risorse a disposizione per gli enti locali, una performance di questo genere è del tutto inaccettabile. Se dunque le regioni fanno una gran fatica a utilizzare le risorse stanziate da Bruxelles, ciò è in gran parte dovuto al fatto che i contributi dell’Unione hanno, di fatto, perso per strada la loro finalizzazione di sostegno alle grandi opportunità per lo sviluppo, mentre il flusso delle risorse è rallentato da mediazioni localistiche. Questo processo si è andato intensificando man mano che i servizi della Commissione europea si sono “ritirati” dalla fase propriamente gestionale, per concentrarsi sulla strategia generale e sui controlli ex post. Così l’opera di “semplificazione burocratica” di Bruxelles, che doveva responsabilizzare le regioni e lo Stato, ha invece favorito il pantano della burocrazia regionale e della politica locale. Senza il controllo nella fase operativa dei funzionari comunitari – che dicevano facilmente “no” – si è lasciato spazio ai condizionamenti della burocrazia locale. Come intervenire? Non si tratta certo di ridurre l’autonomia e la responsabilità delle regioni, quanto di intensificare la collaborazione e il confronto costante tra queste e gli enti locali da una parte, e il Governo dall’altra. Non si può certo immaginare di rimediare ai ritardi della spesa inseguendo le riprogrammazioni, con il rischio di bloccare ulteriormente quanto già è stato avviato. Se infatti sono necessarie azioni per ridurre la polverizzazione delle linee d’intervento in miriadi di piccoli progetti, è altrettanto essenziale garantire continuità amministrativa, stabilizzare regole e contesti per dare sicurezza agli operatori, evitando il disorientamento di tutti. Si stabiliscano, piuttosto, le priorità di intervento attraverso il confronto con gli enti locali. Collegando gli strumenti programmatori, in capo a province e comuni, ai fondi stessi. Per fare questo non serve un’ennesima agenzia, ma l’impegno delle istituzioni nazionali e locali a porre in primo piano alcune tematiche. Servono obiettivi chiari, a cui fare seguire, subito, realizzazioni certe. Dall’efficienza energetica alla difesa del suolo, dalla tutela dell’ambiente alla modernizzazione delle strutture scolastiche, dalla politica di attrazione culturale alla ricerca. Sono tutte questioni su cui le Province hanno già definito piani strategici e progetti, attraverso gli strumenti ordinari della programmazione.

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