A tappe forzate senza perdere pezzi

Fonte: Il Sole 24 Ore

La politica ha fatto il suo corso. Per il federalismo fiscale ci sarà ancora da pazientare. Certo il primo via libera ai criteri sulle entrate di regioni e province e sui costi standard della sanità, arrivato ieri, rappresenta una tappa importante verso la costruzione di un modello di paese più efficiente, capace di tagliare gli sprechi e anche di responsabilizzare i diversi livelli di governo del territorio. Eppure è indubbio che l’impulso ad accorciare i tempi, a voler subito annunciare il compimento del progetto federalista sembra più che altro rispondere alla preoccupazione del governo di non irritare l’alleato Bossi. Questo slancio, peraltro, si è trovato a fare i conti con chi, all’interno della coalizione di maggioranza, sul federalismo fiscale ha posizioni più caute e talvolta preoccupate, specie guardando ai possibili effetti che la riforma rischia di avere per le aree sud. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un inevitabile compromesso, un testo che sorvola su molti dei punti critici del cammino federalista, così come già era successo negli oltre 30 “principi guida” della legge delega approvata nell’aprile 2009, principi che costituiscono l’ossatura del nuovo sistema. Serviva più coraggio? Naturalmente, ma è altrettanto evidente che le liturgie della politica ? schiacciata tra possibili governi tecnici e l’incognita di elezioni anticipate ? oggi non lo consentono. Tanti capitoli aperti. Si pensi al meccanismo per determinare i costi standard. Le tre regioni da prendere a riferimento non saranno le migliori, le più efficienti. La scelta passerà attraverso una ghigliottina politica che, con la preoccupazione di non creare troppi scompigli nelle regioni del sud, minaccia di annacquare uno dei cardini della riforma, vale a dire l’abbandono del principio della spesa storica. Tutti d’accordo sul solidarismo, un po’ meno sul suo eccesso. Oppure si pensi alla fiscalità. Lo schema di decreto approvato ieri è molto meno audace di quanto si era pensato alla fine dell’estate. Innanzi tutto, fino al 2013-2014 si tratta per lo più di novità contabili e/o cambi di nome. Inoltre, solo l’Iva entra nel sistema di compartecipazione delle regioni (tra l’altro, con aliquota simile all’attuale, pari al 45% circa), mentre l’Irpef diventerà a tutti gli effetti un’imposta sdoppiata. Da un lato le aliquote statali, dall’altro quelle regionali che potranno essere maggiorate, fino al 3% dal 2015 in poi (per inciso, l’Irap potrà calare, ma non trovando le risorse mancanti con aumenti dell’Irpef). Poi esclusioni, detrazioni, voucher, buoni, agevolazioni. Insomma, non proprio un buon viatico per un fisco che persegue fortemente anche l’obiettivo della semplificazione e che già annuncia una nuova stagione di riforma globale. Aumenterà il prelievo su cittadini e imprese, come lamenta l’opposizione? No, nelle regioni più attrezzate per affrontare la sfida federalista (non necessariamente quelle del nord). Sì, in tutti i casi in cui non ci sarà la capacità di far tornare i conti, con rischi più elevati nelle aree meno sviluppate del paese. I tempi di attuazione completa non sembrano poi brevissimi (con tutti i problemi che ciò comporterà). Ma, per quanto possa sembrare paradossale, la lunga agenda non è in sé un elemento negativo. Se si scavallerà la primavera senza scossoni parlamentari, ci sarà tempo per definire nel dettaglio tutte le misure che dovranno rendere il federalismo una realtà, dalle aliquote di compartecipazione alla determinazione effettiva dei costi standard sino al funzionamento dei fondi di perequazione. Non proprio dettagli per poter dire se, alla fine, prevarranno le opportunità o i rischi. Se questo cammino, oggettivamente complesso, porterà come promesso a uno stato più dinamico e competitivo, che sappia favorire lo sviluppo dei territori e formare una classe politica, anche locale, in grado di gestire la modernità. Ancora, non sarà facile. Perché, alla fine, i molti compromessi emersi in questa fase andranno superati, a meno di non accontentarsi di una riforma che sia così ben accolta da tutti da essere assolutamente inutile.

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