La Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l’Umbria, ha dichiarato oggettivamente inammissibile la richiesta di parere di un Comune relativa all’obbligo di trasferire una quota del proprio Fondo di risorse decentrate all’Unione di Comuni di appartenenza per il finanziamento del salario accessorio del personale. Pur richiamando il quadro normativo di riferimento e il ruolo centrale degli accordi convenzionali, la Sezione ha ribadito che la funzione consultiva non può estendersi a valutazioni su specifici atti di gestione, in assenza dei requisiti di generalità e astrattezza richiesti dall’art. 7, comma 8, della legge n. 131/2003.
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I limiti della funzione consultiva della Corte dei conti
La Corte ricorda che i pareri richiesti dagli Enti locali devono riguardare questioni di contabilità pubblica in senso proprio e, soprattutto, presentare carattere generale e astratto. Non è sufficiente che il quesito abbia riflessi finanziari: occorre che investa l’interpretazione di norme o principi, e non la legittimità di scelte amministrative concrete. Diversamente, la funzione consultiva rischierebbe di trasformarsi in una forma di co-Amministrazione o, peggio, in una consulenza preventiva sulla gestione.
Unioni di Comuni, personale e risorse: il quadro normativo
Nel ricostruire il contesto, la Corte richiama la disciplina delle Unioni di Comuni prevista dal Testo unico degli Enti locali. Le Unioni sono Enti autonomi, dotati di propri organi e di un bilancio, cui i Comuni partecipanti conferiscono funzioni, risorse umane e, se del caso, capacità assunzionali. La normativa sul contenimento della spesa di personale impone una lettura sostanziale dei costi, considerando cumulativamente la spesa del Comune e quella dell’Unione. Tuttavia, la ripartizione degli oneri, compresi quelli relativi al salario accessorio, è rimessa agli accordi convenzionali e allo statuto dell’Unione, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica.
Perché il parere è stato dichiarato inammissibile
Nel caso esaminato, il Comune non chiedeva un chiarimento interpretativo generale, ma una valutazione sulla legittimità della richiesta dell’Unione di ottenere il trasferimento di una quota del fondo per la contrattazione decentrata. Si trattava, dunque, di una questione strettamente gestionale, legata a specifici rapporti convenzionali e a scelte amministrative già delineate. Per questo la Corte ha ritenuto la richiesta priva dei necessari requisiti di generalità e astrattezza, dichiarandola inammissibile. Un richiamo chiaro, per gli Enti locali, alla necessità di distinguere tra indirizzo interpretativo generale e responsabilità gestionali che restano, inevitabilmente, in capo all’Amministrazione.
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