MILANO – Anche le società pubbliche nella rete della responsabilità amministrativa. La sentenza della Cassazione (si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri) fa squillare un campanello d’allarme per tutti quegli enti, magari a partecipazione mista tra pubblico e privato, che operano in settori come l’assistenza o i trasporti. In tutte queste realtà andranno adottati, se si vorrà almeno sperare di non correre gravi rischi, modelli organizzativi adeguati a scongiurare reati rilevanti come la corruzione o la truffa. O il riciclaggio e il falso in bilancio o, ancora, la sicurezza del luogo di lavoro e, a breve, gli illeciti ambientali. Facendo magari cessare un certo dilettantismo con il quale tropo spesso questa materia viene affrontata (quando viene affrontata) nel settore pubblico. I giudici hanno scritto con chiarezza, corroborando quanto stabilito dallo stesso decreto 231, che a fare da spartiacque è l’attività esercitata dall’ente e la forma giuridica che l’ente stesso si è dato con lo statuto. Così, se la forma scelta è quella della società per azioni, a poco servirà fare notare, come avevano provato a fare le difese (e come peraltro avevano acconsentito i giudici di merito), che un ente pubblico non rientra nel perimetro di applicazione del decreto. Si tratta infatti di una struttura giuridica indirizzata naturalmente a ottenere profitti e, in quanto tale, soggetta al rischio che propri dipendenti commettano reati dai quali essa stessa potrà trarre vantaggi. Se venisse ammessa un’ampia possibilità di esonero contando sulla rilevanza costituzionale dell’attività svolta, o di una sola parte di questa attività, troppi ne sarebbero beneficiati, dal settore dell’informazione a quello della sanità. Non può quindi essere questo il criterio da adottare. A poter essere esentati saranno così solo lo Stato, gli enti pubblici territoriali ed enti che svolgono funzioni di ri-levanza costituzionale ( ma considerati dalla Costituzione) e quelli pubblici non economici. Per tutti gli altri diventerà determinante un assetto organizzativo adeguato, con la presenza di procedure di tracciabilità delle decisioni, con chiarezza nell’assegnazione degli incarichi e delle responsabilità, con un adeguato sistema sanzionatorio e un organismo di vigilanza efficiente. Su quest’ultimo, in particolare, dovranno essere evitate scelte di comodo o al risparmio, come l’inserimento ai vertici o tra i componenti di rappresentanti del collegio sindacale o del preposto alla redazione dei documenti contabili. A soccorrere in questo compito potranno essere le linee guida messa a punto dalle associazioni di categorie la loro flessibilità a modelli magari diversi da quelli dello “stretto” privato. Insomma, una prova di maturità. Tanto più stringente se si tiene conto che le modifiche che si stanno profilando al decreto 231, con la certificazione dei modelli organizzativi e un trattamento particolare per holding e piccole società, non riconoscono alcuna specificità agli enti pubblici, attenuando magari gli obblighi da rispettare. Anzi li parifica di fatto alle società del tutto private e profit.
Per le società partecipate la prova modelli organizzativi
Decreto 231. La Cassazione allarga la responsabilità
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