Federalismo, costi e fabbisogni molto poco standard

Fonte: Italia Oggi

E’ una delle chiavi di volta dell’intera architettura federale, che dal punto di vista finanziario dovrebbe reggersi su due pilastri: all’autonomia di entrata di regioni ed enti locali dovrebbe affiancarsi la standardizzazione dei costi e fabbisogni connessi ai Lep ed alle funzioni fondamentali, al fine di coniugare autonomia e responsabilità anche sul lato della spesa. Finora l’attenzione si è concentrata sulla prima questione, ma anche il dibattito sulla seconda sta entrando nel vivo. Al momento, tutte e due le «gambe» del federalismo fiscale paiono zoppicanti. Se nel primo caso si rileva l’eccessivo peso delle compartecipazioni e la scarsa manovrabilità e continenza dei tributi regionali e locali propri, nel secondo caso le critiche si appuntano sulla metodologia per la determinazione dei cosi/fabbisogni standard. Le principali problematiche evidenziate al riguardo sono due. In primo luogo, i futuri parametri non si applicheranno direttamente alle autonomie speciali. Per quelli legati alle funzioni fondamentali di comuni e province tale regola è già scolpita nell’art. 8, c. 4, del dlgs 216/10, ma un’analoga esclusione per quelli relativi ai Lep dovrebbe essere prevista dal futuro decreto sul fisco regionale e provinciale, il cui schema è da poco approdato in bicamerale. E proprio in tale sede, nel corso dell’ultima audizione, la ragioneria generale dello stato ha fatto notare che «un vero federalismo fiscale non può prescindere da valutazioni che riguardino tutto il territorio nazionale e dalla necessità di evitare che si proceda con analisi e percorsi parcellizzati e diversificati nel tempo e nei territori». Il rilievo trova conforto, oltre che nella giurisprudenza costituzionale, ferma nell’affermare l’assoggettamento di regioni e province ad autonomia differenziata a vincoli rispondenti all’esigenza di coordinamento della finanza pubblica, anche in una logica (per così dire) di «economia del diritto». È vero, infatti, che l’art. 27 della legge 42/09 fa salvi i peculiari meccanismi di adeguamento previsti dagli statuti speciali, ma esso richiama altresì il principio del graduale superamento del criterio della spesa storica attraverso la definizione dei costi/fabbisogni standard. E non sembrano sussistere ragioni per cui tali parametri possano essere differenziati a seconda dello status ordinario o speciale dei diversi enti. La seconda problematica riguarda la definizione dei costi standard relativi alle funzioni regionali incidenti sui Lep (in primis, quindi, alla sanità). In questo caso viene criticata la scelta di includere in ogni caso nel benchmark una regione del nord, una del centro e una del sud, oltre ad almeno una realtà di piccola dimensione geografica, a prescindere dallo stato dei rispettivi conti. In tal modo, come ha sottolineato un recente dossier del servizio studi della camera, verrebbe alterato «il significato stesso di costo standard». In altre parole, occorre chiarire se l’obiettivo è definire autentici parametri di spesa efficiente, ovvero operare una mera redistribuzione delle risorse disponibili secondo criteri di convenienza politica. Una simile scelta rischierebbe di alimentare un pericoloso, e non inedito, contenzioso. Torna infatti alla mente la tribolata vicenda del dlgs 56/00 emanato con l’obiettivo di ridefinire le regole di riparto fra le regioni dei fondi per la sanità, ancorandole a parametri oggettivi diversi dalla spesa storica. Tale provvedimento fu aspramente contestato dalla regioni del Sud che lo impugnarono davanti ai Tar e alla Consulta (con congelamento per oltre due anni delle risorse). Stavolta a fare ricorso potrebbero essere invece le regioni del Nord.

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