Chance da cogliere per le gare nei servizi

Fonte: Il Sole 24 Ore

La liberalizzazione dei servizi pubblici locali passa da una maggiore frequenza di gare che abbiano successo sul piano competitivo, a cui quindi partecipi un ampio numero di concorrenti.

In Italia invece si è spesso indugiato (fingendo che fosse chiesto dall’Europa) sull’ostacolare i soggetti pubblici alla partecipazione alle gare, piuttosto che incoraggiare tutti a misurarsi con il mercato. Il fallimento di questa politica è sotto gli occhi di tutti: in un contesto in cui sono assenti o molto deboli i privati, il risultato sono state gare con un unico partecipante. In pochissimi casi, l’hanno spuntata le aziende straniere (spesso a controllo pubblico) o le poche public utilities quotate in borsa (anch’esse a maggioranza pubblica). In sostanza la confusione tra privatizzazione e liberalizzazione ha portato, al più, a una privatizzazione finta ed a nessuna concreta liberalizzazione.

L’abrogazione dell’articolo 23-bis del Dl 112/2008 e dell’articolo 4 del Dl 138/2011 rimette in discussione il tutto, con l’effetto di portarci davvero in Europa, dove le società in house possono, entro limiti precisi, competere tra loro e sul mercato. In tal senso, si è espressa anche l’Autorità sugli appalti, che nel parere 42/2013 conferma che anche una società con affidamento diretto può partecipare alle gare.

A normativa vigente, le sole società escluse dalle gare sono le strumentali, per il divieto previsto dall’articolo 13 del Dl 223/2006. L’intenzione del decreto era di circoscriverne al massimo l’operatività, intenzione oggi confermata dall’articolo 4 del Dl 95/2013 che richiede, probabilmente invano, la liquidazione di queste società.

Al contrario non vi è più alcun divieto che riguardi le società di servizi pubblici. Per queste ultime si devono applicare i principi Ue che vedono come interesse pubblico prevalente l’ampia partecipazione alle gare, a prescindere dalla natura dei concorrenti. La giurisprudenza Ue è costante e basta citare la sentenza della Corte di giustizia del 19 dicembre 2012, che prevede appunto la gara anche nel caso di affidamento tra enti pubblici. La Corte Ue, peraltro, ha più volte precisato che il principio di parità di accesso al mercato va correttamente declinato. Il legislatore nazionale non deve vietare ma solo precisare quali siano le condizioni di partecipazione per le società in house.

Ma oggi, in assenza di una regolamentazione, l’unico vero condizionamento per le società consiste nel requisito di prevalenza e di territorialità (l’azienda deve svolgere almeno l’80% dell’attività con i propri soci), In ogni caso ciò non condiziona l’accesso alla gara, ma il mantenimento dell’affidamento diretto.

Adesso, quindi, in Italia c’è un involontario allargamento della platea dei competitor potenziali per i servizi locali messi a gara. Speriamo che il legislatore, in uno dei suoi abituali rigurgiti ideologici, non spezzi di nuovo l’incantesimo: meglio un mercato di soggetti pubblici piuttosto che nessun mercato.

 

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