Scade oggi il termine per le «verifiche» sui vecchi part time

Fonte: Il Sole 24 Ore

Le autorizzazioni al lavoro part time, già adottate prima della data di entrata in vigore della riforma dell’istituto nella pubblica amministrazione, sono state nell’ultimo semestre oggetto di ripensamento da parte del datore di lavoro pubblico. L’evaporazione del diritto al part time, contenuto nella riforma, sembrava lasciare indenni i rapporti pregressi, basati sulle premesse normative precedenti, prima che in argomento intervenisse l’articolo 16 della legge 183/2010 (il collegato Lavoro), per il quale entro oggi (cioè dopo 180 giorni dall’entrata in vigore della legge) le Pubbliche amministrazioni possono sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede. Le amministrazioni si sono mosse in ordine sparso, e non sempre correttamente, poiché la norma ha alimentato dubbi interpretativi ed incertezze applicative. Occorre premettere che l’articolo 16 non conferisce una semplice possibilità di intervento, perché i dirigenti non possono sottrarsi dal compito di portare a verifica gli interessi organizzativi in gioco, secondo le regole di buon andamento, inteso in senso omnicomprensivo di buona amministrazione: efficiente, efficace, economica ed imparziale. È, poi, pacifico l’ambito di riferimento: i soli part time trasformati, esclusi i rapporti ex articolo 12-bis, comma 1, del Dlgs 61/2000 (lavoratori affetti da patologie oncologiche). Riguardo al termine, 180 giorni, pare di poter affermare che sia riferibile all’esito dell’attività di valutazione, il cui oggetto sono i provvedimenti di concessione (terminologia, invero, perplessa per descrivere un atto di natura privatistica), altrimenti verrebbe ammessa una dilazione dei tempi anche consistente. Ma quale comportamento, sul piano concreto, poteva portare l’accertamento della presenza di pregiudizi funzionali collegati ai vecchi rapporti a tempo parziale? Il datore di lavoro pubblico non poteva unilateralmente revocare i part time autorizzati, ovvero modificarli, e neppure richiedere al lavoratore una nuova istanza, quale presupposto per una nuova autorizzazione o per un diniego secondo la vigente disciplina. Una prima conferma a questa lettura arriva dal Tribunale di Trento, che in un’ordinanza depositata il 4 maggio scorso ha bocciato il provvedimento di una Pa centrale proprio perché non concordato con il lavoratore interessato. Depone in tal senso una lettura sistematicamente e costituzionalmente orientata della norma. L’articolo 16 non può, infatti, porsi in contrasto, pena la sua disapplicazione, con la direttiva n.97/81/CE, che afferma la necessità di interventi attivi degli Stati membri per favorire la flessibilità lavorativa e la rimozione degli ostacoli al part time. È, inoltre, da segnalare l’esposizione della norma alla censura di incostituzionalità, in quanto incidente su diritti ormai acquisiti, con compressione del legittimo affidamento nutrito dagli interessati. In ogni caso, tutt’altro che sfumato è il riferimento al rispetto dei principi di correttezza e buona fede, che presumono una lealtà di condotta nel rapporto la quale non può prescindere dal considerare il sacrificio richiesto al dipendente affinché possa adempiere correttamente. Conclusivamente, il carattere bilaterale della volontà in ordine al cambiamento dell’orario di lavoro è difficilmente negabile. La novella introdotta con il collegato lavoro, ove non interpretata quale sollecitazione verso un’attività manageriale di attenta analisi degli interessi organizzativi e di proposta di soluzioni gestionali, tra le quali anche il ripensamento consensuale dei rapporti part time, rischia di portare le pubbliche amministrazioni verso onerose controversie giudiziarie.

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