Carta autonomie, un caos

Fonte: Italia Oggi

Un guazzabuglio il nuovo assetto delle competenze degli enti locali, che va delineandosi nella Carta delle autonomie. La necessità di riorganizzare l’assetto delle funzioni degli enti locali, derivata dall’articolo 23 della legge 214/2011 che ha messo in discussione le funzioni storiche delle province, ha rilanciato i lavori parlamentari per l’approvazione del disegno di legge di riforma del dlgs 267/2000 (si veda ItaliaOggi di ieri). Il risultato che ne deriva, tuttavia, non farebbe altro che accrescere la confusione già creata dal cosiddetto decreto «salva Italia», preso dall’esigenza di far vedere che si aggrediscono i costi della politica, intervenendo sulle province.
In effetti, la Carta delle autonomie finisce per correggere le storture della legge 214/2011, riassegnando alle province, oltre alla troppo fumosa funzione di indirizzo e coordinamento, anche le funzioni di programmazione, manutenzione delle strade e programmazione dei trasporti, nonché in tema di ambiente.
Tuttavia, il disegno ordinamentale risulta tutt’altro che chiaro, anche perchè il disegno di legge non può entrare nel merito delle funzioni da assegnare alle regioni, che d’altra parte le regioni stesse potrebbero a loro volta attribuire sia a comuni, sia a province ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione.
Nei fatti, l’attribuzione delle competenze a comuni e province, che la Carta delle autonomie vorrebbe tassative e inderogabili, resta, invece, estremamente fluida e indeterminata. Per i comuni, ad esempio, si prevedono funzioni come le «attività, in ambito comunale, di pianificazione di protezione civile e di coordinamento dei primi soccorsi», oppure la «gestione dei beni e dei servizi culturali di cui il comune abbia la titolarità». In apparenza tali formule assegnano competenze chiare. Ma, in realtà, poiché esse genericamente si riferiscono all’«ambito comunale» o alla titolarità comunale delle competenze, risulta evidente che la linea di confine dell’esercizio di simili funzioni, rispetto ad altri enti che concorrano ad esercitarle (in particolare regioni e Stato) restano totalmente indefiniti.
L’emendamento indica che le funzioni fondamentali ed amministrative conferite a comuni, province e città metropolitane non possano essere ed esercitate da enti, società o agenzie statali, regionali e di enti locali. Si impedisce, così, la creazione di enti di servizio che svolgano in modalità privata funzioni amministrative. Il che comporterebbe la necessità di liquidare e sciogliere le molteplici società di servizio nate nel frattempo, con non indifferenti problemi occupazionali, senza una regola chiara sul personale da esse dipendente. Non essendo ammissibili clausole di rientro per il personale a suo tempo trasferito dall’ente locale alle società, né possibile assorbire personale non assunto dalle società stesse senza concorsi, si determinerebbero anche rischi di insufficienti dotazioni di risorse umane derivanti dalle reinternalizzazioni.
Il tentativo, poi, di razionalizzare i «costi della politica» induce ad una forte spinta verso l’obbligatorietà delle forme associative. Tutti i comuni con popolazione fino a 5 mila abitanti oppure fino a 3 mila se appartenenti a comunità montane dovranno necessariamente associarsi per gestire le funzioni fondamentali. Stessi obblighi per le province con meno di 300 mila abitanti.

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