Tarsu: chi smaltisce i rifiuti in proprio deve pagare la tassa

Non è in contrasto con le direttive comunitarie la normativa nazionale che esclude che un’impresa possa smaltire in proprio i rifiuti prodotti. In Italia, dunque, i produttori di rifiuti anche se li smaltiscono autonomamente sono soggetti a tassazione e questa regola non vìola la normativa comunitaria. Tuttavia la tassa deve essere proporzionata al costo della gestione dei rifiuti. Lo ha stabilito la Corte di giustizia della Comunità europea, sesta sezione, con una sentenza pronunciata lo scorso 18 dicembre nella causa (C-551/2013) tra una società proprietaria di un complesso turistico e il comune di Quartu S. Elena.  
Nel caso in esame, la società aveva comunicato al comune di non avere alcuna intenzione di pagare la tassa, poiché si era avvalsa di un’impresa specializzata e aveva smaltito in proprio i rifiuti prodotti. Secondo la ricorrente, la pretesa tributaria contrastava con la direttiva comunitaria 2008/98 e con il principio «chi inquina paga». Mentre, per l’amministrazione comunale era irrilevante ai fini Tarsu l’attività svolta dal contribuente e i costi sostenuti per lo smaltimento. La Commissione tributaria di Cagliari, innanzi alla quale era stata sollevata la questione, si è rivolta alla Corte di giustizia per chiarire se il diritto dell’Unione europea ammetta una normativa nazionale che non preveda per un produttore di rifiuti la possibilità di provvedere personalmente al loro smaltimento, con conseguente esonero dal pagamento della tassa comunale.
Secondo la Corte «l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2008/98, in combinato disposto con gli articoli 4 e 13 della stessa, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che non preveda la possibilità, per un produttore di rifiuti o un detentore di rifiuti, di provvedere personalmente allo smaltimento dei suoi rifiuti, con conseguente esonero dal pagamento di una tassa comunale per lo smaltimento dei rifiuti, purché detta normativa sia conforme ai requisiti del principio di proporzionalità».
In realtà, il diritto dell’Unione non impone agli stati membri un metodo particolare per il finanziamento del costo della gestione dei rifiuti. La copertura dei costi può essere assicurata da una tassa, un canone o con qualsiasi altra modalità. Tra l’altro, la tassa può essere calcolata su una stima del volume dei rifiuti generato, anziché in base al quantitativo effettivamente prodotto e conferito. Quello che conta è che la tassa così determinata non ecceda quanto è necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito.
È evidente che la normativa italiana è in linea con questi principi. Tant’è che le varie discipline che si sono succedute in materia di smaltimento rifiuti (Tarsu, Tares, Tari) hanno in comune la regola che le entrate derivanti dalla tassa sono finalizzate solo a coprire i costi del servizio. Le cause di esenzione, totale o parziale, devono essere previste dalla legge. L’autosmaltimento, il recupero o il riciclo danno diritto all’esonero dal prelievo solo nei casi in cui sia espressamente disposto. Il presupposto della Tarsu è l’occupazione o la detenzione di locali e aree scoperte a qualsiasi uso adibiti. Tra i locali e le aree che non possono produrre rifiuti per la natura delle loro superfici rientrano quelli situati in luoghi impraticabili, interclusi o in stato di abbandono. 
La tassa non può essere applicata sulle superfici o sulle aree nelle quali si producono rifiuti speciali. 

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