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Decreto p.a., Cgia Mestre: da tagli diritti camerali piĆ¹ oneri per lo Stato

I tagli del diritto annuale dovuto dalle aziende alle Camere di commercio contenuto nel decreto p.a. rischiano di non rappresentate un risparmio per le imprese, ma un aggravio del bilancio dello Stato. È quanto emerge da uno studio della Cgia di Mestre e di Unioncamere Veneto presentato a Roma. 

PIÙ ONERI PER LO STATO? Il risparmio stimato dalla misura di taglio del diritto camerale, circa 400 milioni di euro, andrebbe quasi esclusivamente a vantaggio delle grandi imprese (circa l’1% in Italia). Tuttavia, questo beneficio immediato, sottolinea la ricerca, “potrebbe rivelarsi un boomerang in quanto metterebbe a rischio la sostenibilità del sistema camerale e, con esso, i numerosi servizi che fornisce a favore delle imprese, specialmente quelle di piccola dimensione”. 

Inoltre, si legge ancora nel report, “bisogna considerare che il trasferimento delle funzioni camerali ad altri enti pubblici potrebbe addirittura trasformarsi in un aggravio per i nostri conti pubblici, dato che, in tal caso, non sarebbero le imprese a finanziare i servizi camerali, ma lo Stato stesso”. 

CAMERE DI COMMERCIO ‘SALVAGENTE’ IN ANNI DI CRISISecondo l’indagine – condotta analizzando i bilanci di tutte le Camere di commercio italiane – gli enti camerali hanno svolto in questi anni di crisi la funzione di”vero e proprio salvagente” nei confronti delle piccole e medie imprese, anzitutto attraverso l’erogazione, nei confronti dei Confidi, dei fondi per aumentare la disponibilità dei plafond a disposizione per il finanziamento dell’economia reale. Solo nel 2012 le Camere di Commercio hanno erogato 81,6 milioni di euro a sostegno del credito, senza contare che la legge di Stabilità per il 2014 le impegna a versare 70 milioni al sistema dei Confidi. 

COSTI SISTEMA CAMERALE 0,2% SPESA PUBBLICA L’indagine evidenzia come nel decennio 2003-2012 le Camere abbiano tagliato il proprio personale di quasi il 12% (7.542 dipendenti al 2012), a fronte di una variazione complessiva della Pubblica amministrazione del -6,9%. L’incidenza del sistema camerale sulla spesa pubblica nazionale rappresenta lo 0,2%, pari a 1,8 dei 715 miliardi di spesa pubblica primaria, dimostrando, rileva ancora l’indagine, come le Camere di commercio siano gli enti pubblici con il più elevato livello di autofinanziamento. 

Per ogni 100 euro di proventi correnti, 81 derivano da risorse proprie (diritto annuale, diritti di segreteria, proventi dalla gestione di beni e servizi) e solo 19 da risorse esterne come, ad esempio, i contributi Ue. Lo studio ricorda, inoltre, come nel variegato mondo del servizio pubblico le Camere di commercio raccolgano un indice di gradimento che supera l’80% espresso dalle aziende con meno di 50 dipendenti e, addirittura, il 90% per quelle che hanno un numero maggiore di addetti, come risulta da un’indagine Ispo recentemente commissionata dall’Istituto Tagliacarne. 

I ‘RISCHI’ DEL TAGLIO Il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, ha ribadito quanto sostenuto in una recente audizione di Unioncamere alla Commissione Affari costituzionali della Camera. La riforma metterebbe a rischio 2.500 posti di lavoro, comporterebbe un aggravio alle casse dello Stato di 167 milioni di euro ed avrebbe un effetto recessivo complessivo di circa 2,5 miliardi di euro (pari allo 0,2% del valore aggiunto nazionale). 

MEGLIO UN’AUTO-RIFORMA Piuttosto che intervenire con tagli così duri “è meglio accompagnare il sistema nel percorso di auto-riforma che ha già iniziato, per Dardanello. Un disegno che prevede il ridimensionamento del numero degli enti che passerebbero dagli attuali 105 a 50-60. Tra le tredici Unioni regionali che hanno già deciso l’accorpamento, le riduzioni maggiori si avrebbero in Emilia Romagna (da 9 a 4) e in Piemonte (da 8 a 3). 

“Tagliare i diritti camerali prima di aver compiuto la riforma è, secondo noi un errore. Ma la decisione del Parlamento di accogliere la nostra richiesta di spalmare in tre anni i tagli – spiega Dardanello – ci da un po’ di tempo per portare avanti quel percorso di riforma che renda ancora più efficace ed efficiente l’azione delle Camere di commercio a sostegno dello sviluppo di imprese e territori. Uno sforzo che chiediamo ora al Governo di sostenere. Perché riteniamo sia in linea con le esigenze di modernizzazione della macchina amministrativa pubblica italiana e di crescita del sistema economico”.

Per Dardanello, “sarebbe difficile – ad esempio – procedere ad una riorganizzazione senza poter contare sul registro informatico delle imprese che le Camere di commercio hanno creato, che è già completamente digitalizzato ed è invidiato da tutta l’Europa”. Per Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre che ha curato la ricerca, il taglio ai diritti camerali è “un’assurdità. Le Camere forniscono servizi alle imprese che non da nessun altro”.

(Fonte: Public Policy)


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