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Jobs Act, al Senato dopo la rissa passa la fiducia. Renzi: grandissimo passo in avanti
Il voto di fiducia sulla riforma del lavoro è giunto intorno all'una di notte con 165 sì. La discussione in Aula è stata tesissima per l'ostruzionismo delle opposizioni

Con 165 voti a favore, 111 contrari e 2 astenuti, è passata al Senato la fiducia posta dal governo sulla legge delega del Jobs Act, la riforma del lavoro varata dall’esecutivo. Il via libera in prima lettura è arrivato intorno all’una di notte, al termine di una seduta convulsa. I senatori presenti erano 279, con 278 votanti. La maggioranza era a quota 140.
“Un grandissimo passo in avanti”, ha commentato il premier Matteo Renzi che si è però detto “amareggiato per la sceneggiata” fatta dalle opposizioni.
Tutta la giornata di ieri è stata incentrata sullo scontro in Aula che ha allungato a dismisura i tempi inizialmente previsti. Urla, risse, senatori in piedi sui banchi, lancio di libri contro la Presidenza. L’opposizione trasforma Palazzo Madama in un vero campo di battaglia per provare a bloccare il cammino del Jobs Act. E riesce a impedire che il voto di fiducia sulla riforma arrivi in contemporanea con il vertice europeo che Matteo Renzi presiede a Milano. Ma non impedirà al governo di raggiungere il suo obiettivo, avverte a muso duro il premier: “Non molliamo di un centimetro. Porteremo a casa il risultato”. Anche i senatori della minoranza del Pd voteranno la fiducia ma annunciano battaglia alla Camera per modificare il testo.

Poletti illustra il maxiemendamento
È dall’inizio molto nervosa, la giornata al Senato. Ed è subito caos quando intorno all’ora di pranzo il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, prende la parola in Aula per illustrare il maxiemendamento del governo che modifica e sostituisce il testo della delega sul lavoro. L’emendamento rinvia ai decreti delegati l’intervento più delicato, quello sui licenziamenti. Ma l’articolo 18 è parte integrante della riforma, sottolineano in mattinata da Palazzo Chigi. E per superare la disciplina attuale il governo chiederà la fiducia sul provvedimento.

Bagarre in aula: monetine ai ministri
In Aula Poletti dovrebbe illustrare, tra gli altri, proprio quel punto: come il governo si impegna a modificare l’articolo 18 nei decreti delegati. Ma non riesce a farlo. “Andate a casa”, urlano i senatori 5 Stelle, coprendo con le urla le parole del ministro. E il capogruppo grillino Vito Petrocelli deposita 50 centesimi sui banchi del governo: “Un’elemosina”, spiega. Il gesto fa andare su tutte le furie il presidente Pietro Grasso, che espelle Petrocelli e sospende la seduta. Il caos continua, i grillini oppongono resistenza, poi si quietano. Ma intanto impediscono a Poletti di terminare a voce il suo intervento, che deve mettere agli atti consegnando una copia scritta.

Il corteo a Milano
A Milano è in corso nelle stesse ore un corteo contro il vertice Ue sul lavoro: “Siamo pronti a occupare le fabbriche”, ribadisce il segretario della Fiom Maurizio Landini. Ma Renzi, giunto in città per una conferenza fortemente voluta con i leader europei, sfida gli oppositori: “Possono contestarci, ma il Paese lo cambiamo”. Il maxiemendamento che giunge a Palazzo Madama (“Solo alle 16.32”, denuncia battagliero Paolo Romani, capogruppo FI) riforma il mercato del lavoro con interventi come gli sgravi sulle nuove assunzioni, la riduzione delle forme contrattuali, i nuovi ammortizzatori sociali. È il “passo importante” per il quale anche Angela Merkel si congratula con Renzi. Il governo e la maggioranza dunque non cedono alle proteste delle opposizioni e confermano il proposito di votare la fiducia in giornata, anche a costo di fare nottata.

Walter Tocci si dimette da senatore
“Sono stati fatti passi avanti ma non basta”, proclama una ricompattata minoranza Pd. Ma poiché la critica è sulla riforma del lavoro e non si intende rischiare di far cadere il governo, i ‘ribelli’ annunciano che voteranno sì alla fiducia ma proseguiranno la battaglia per le modifiche alla delega alla Camera. E mettono agli atti un documento con in calce le firme di 35 parlamentari della minoranza dem. Lo strappo è troppo grave, per il civatiano Walter Tocci, che si presenta al capogruppo Luigi Zanda e annuncia: “Voto sì ma poi mi dimetto da senatore”. Un intento da cui i colleghi cercano di dissuaderlo, come anche il premier Renzi che lo ha invitato a ripensarci: “Farò di tutto perché Walter Tocci, che è una persona che stimo molto, continui a fare il senatore”.

Vola un libro contro Grasso
In Aula i partiti di opposizione, dal M5S, alla Lega, al Sel, a una battagliera FI, fanno ostruzionismo sul calendario dei lavori per provare a impedire che la fiducia venga votata in giornata, come vuole il governo. E quando Grasso, dopo aver ascoltato decine di interventi, impone una stretta mettendo ai voti l’ordine dei lavori, il capogruppo della Lega, Gianmarco Centinaio, gli scaglia contro un librone contenente il regolamento del Senato, i grillini urlano “Non si può” e salgono in piedi sui banchi del governo. Nell’emiciclo torna il caos e scoppia la rissa anche tra Sel e Pd: Loredana De Petris e Roberto Cociancich vengono alle mani, separati dai commessi.

Renzi: “Le sceneggiate non ci fermano”
Le proteste “sono sceneggiate, non politica. È mancanza di rispetto, si consenta di votare”, dice irritato Renzi. E avverte: “Abbiamo aspettato 40 anni per le riforme, i nostri senatori potranno aspettare ancora qualche ora, ma porteremo a casa il risultato”.


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