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Meeting CL: cosa abbiamo capito dal discorso di Matteo Renzi
Riforma pensioni, lavoro, pubblica amministrazione, fisco e immigrazione: i passaggi che indicano l’azione di governo dalla legge di stabilità 2016 in poi

Matteo Renzi ha ufficialmente chiuso le sue vacanze estive con la presenza molto attesa al Meeting di Cl a Rimini.Una partenza non proprio a razzo sul fronte delle novità normative, dal momento che, dal palco romagnolo, il premier ha intrattenuto la folla con qualche aneddoto personale, arrivando, solo in chiusura di intervento ai tanto sentiti temi delle riforme in via di realizzazione.
Del resto, il tema del dibattito era “L’Italia e la sfida del mondo”, un argomento che ha consentito al premier di spaziare liberamente tra più ambiti, con la consueta dose di collaudata retorica, ruffiana finché si vuole, ma indubbiamente efficace.
Dunque, dopo un inizio tra l’amato Giorgio La Pira e il confine tracciato verso la platea “Non sono uno di voi”, si è affrettato a sottolineare il premier, è arrivato anche il momento di parlare del governo del Paese. Un impegno, quello dell’esecutivo, che ha chiuso forse definitivamente con la stagione del berlusconismo “in cui l’Italia è andata in pausa”, riportando al centro del dibattito le tanto attese riforme.
Ecco cosa abbiamo capito dalle parole del premier per gli ultimi mesi del 2015 (e quelli a venire, se possibile).

Lavoro. Il premier ha rivendicato, in un breve passaggio, gli effetti del Jobs Act e il bonus degli 80 euro introdotto nella busta paga per introdurre l’argomento della riduzione fiscale, che segnerà di fatto i prossimi mesi. Ma è stato un passaggio molto rapido: il macigno della disoccupazione – che nonostante l’aumento dei contratti, non vuole scendere – pesa enormemente.

Tasse. Renzi ha continuato a battere sul sentiero tracciato nelle scorse settimane: a suo modo di vedere, è ora di una rivoluzione fiscale che dovrebbe portare alla riduzione Imu e Tasi già nella prossima finanziaria, con sparizione della tassa sulla prima casa, per poi spostarsi all’Ires tra un anno e, tra due, negli ultimi mesi di legislatura che si chiuderà nella primavera 2018 – salvo sorprese – toccherà infine anche all’Irpef. “Meno tasse significa più libertà”, ha esclamato il premier in un insolito moto di liberismo reaganiano spinto.

Pubblica amministrazione. Poche parole per una delle riforme meno riuscite e certamente più complicate da quando il governo Renzi si è insediato: nell’ordine, abolizione delle province, decreti e disegni di legge non hanno ancora realizzato i propositi di ridurre la burocrazia, aumentando l’efficienza e semplificando la vita al cittadino. C’è da attendersi, nei prossimi mesi, molta circospezione sul tema, con gli imminenti decreti legislativi della riforma della p.a. che dovranno dare vita alla nuova era, le cui premesse, tra esuberi, blocchi agli stipendi e alle assunzioni, sentenze della Corte costituzionale, non paiono essere troppo incoraggianti.

Riforme istituzionali. Il primo appuntamento chiave, per il governo, è certamente il voto delle riforme tra cui l’abolizione del Senato. Un ko del disegno di legge costituzionale, infatti, potrebbe, da un lato, mettere in pericolo la tenuta dell’esecutivo e, dall’altro, rendere pressoché nulla la nuova legge elettorale valida solo per la Camera dei deputati. Rimane in piedi l’ipotesi di rendere il Senato elettivo, dunque modificando l’Italicum, anche se Renzi ha chiosato “aumentando le poltrone non si aumenta la democrazia”.

Immigrazione. Il premier ha rivendicato la linea fin qui perseguita d’accordo con Bruxelles: “Potremo anche perdere voti, ma prima dobbiamo salvare vite umane”. Il che, tradotto, significa niente revisione del trattato di Dublino o delle attuali politiche comunitarie di accoglienza, mentre un’ondata senza precedenti di profughi si affaccia via terra dai Balcani e le scene di folle bloccate a Calais e Ventimiglia attendono ancora una condanna unanime definitiva.

Pensioni. È stato il tema (volutamente?) schivato dal Presidente del Consiglio, ormai accerchiato dal presidente Inps, dai Ministri Padoan e Poletti e ora anche dal segretario generale della Cgil, richiedono una revisione dei requisiti della legge Fornero. Il premier sa che il prezzo da pagare sarà molto alto e qualsiasi intervento andrà studiato con cautela, pena le ammonizioni di Bruxelles sui conti, i quali dovranno già sopportare il mancato gettito Imu nel 2016.

di Francesco Maltoni


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