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Il controllo delle Certificazioni Verdi Covid-19 dopo l'introduzione dell’obbligo vaccinale per gli ultracinquantenni: obbligo assoluto o relativo?
Emergenza Coronavirus: il focus dell’esperto sulle corrette modalità di applicazione delle vigenti normative in materia di controlli delle certificazioni nei confronti dei dipendenti comunali
di GIOVANNI MONTACCINI*
Le presenti considerazioni attengono alla ricerca delle più corrette modalità di applicazione delle vigenti normative in materia di controlli delle Certificazioni Verdi Covid-19 ai dipendenti comunali ultracinquantenni.
In primis occorre un richiamo alle principali disposizioni applicabili in materia e nello specifico:
Con d.l. 7 gennaio 2022, n. 1, art. 1, rubricato “Estensione dell’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2” sono state apportate modifiche al decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, introducendovi nuovi articoli come segue:
D.l. 1° aprile 2021, n. 44 conv. con mod. in l. 28 maggio 2021, n. 76:
“1. Dalla data di entrata in vigore della presente disposizione e fino al 15 giugno 2022, al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, l’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2, di cui all’articolo 3-ter, si applica ai cittadini italiani e di altri Stati membri dell’Unione europea residenti nel territorio dello Stato, nonche’ ai cittadini stranieri di cui agli articoli 34 e 35 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di eta’, fermo restando quanto previsto dagli articoli 4, 4-bis e 4-ter.
“1. A decorrere dal 15 febbraio 2022, i soggetti di cui agli articoli 9-quinquies, commi 1 (personale delle amministrazioni pubbliche, ndr.) e 2, 9-sexies, commi 1 e 4, e 9-septies, commi 1 e 2, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87, ai quali si applica l’obbligo vaccinale di cui all’articolo 4-quater, per l’accesso ai luoghi di lavoro nell’ambito del territorio nazionale, devono possedere e sono tenuti a esibire una delle certificazioni verdi COVID-19 di vaccinazione o di guarigione di cui all’articolo 9, comma 2, lettere a), b) e c-bis) del decreto-legge n. 52 del 2021[1].
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È immediata ed evidente, rispetto all’articolo che precede, la differente formulazione dell’art. 4-ter[2] d.l. 44/2021, disposizione pure dedicata all’estensione dell’obbligo vaccinale ma a categorie particolari di lavoratori, ovverosia al personale della scuola, del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, della polizia locale, degli organismi della legge n. 124 del 2007, delle strutture di cui all’articolo 8-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e degli Istituti penitenziari:
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Riportati gli articoli di riferimento, è possibile effettuare un confronto ed un paragone tra le due diverse fattispecie:
Infatti, già da un punto di vista letterale:
Infine, al comma 4 del medesimo art. 4-quinquies d.l. 44/2021 è anche previsto che: “I lavoratori di cui ai commi 1, nel caso in cui comunichino di non essere in possesso della certificazione verde covid-19 di cui al comma 1 o che risultino privi della stessa al momento di accesso ai luoghi di lavoro, (…) sono considerati assenti ingiustificati, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro, fino alla presentazione della predetta certificazione, e comunque non oltre il 15 giugno 2022. (…) ed al comma 5 che “è vietato l’accesso dei lavoratori di cui al comma 1 ai luoghi di lavoro in violazione dell’obbligo di cui al predetto comma 1”
Ai sensi di tale seconda disposizione dunque, il dipendente deve risultare dotato della certificazione verde Covid-19 al momento dell’accesso ai luoghi di lavoro o, in alternativa, potrebbe già anticipatamente, in maniera spontanea, comunicare di esserne privo.
Dalla lettera della disposizione sembra emergere che il lavoratore possa pertanto anche non comunicarlo ove ad esempio già collocato in ferie o in permesso ex L. 104/1992 o altro permesso previsto dalla legge e dunque ove non presente nei luoghi di lavoro, senza svolgimento alcuno di attività lavorativa.
Caso diverso è, evidentemente, quello dello smart working, in cui il dipendente, benché non presente in ufficio, svolge comunque attività lavorativa.
Da questo punto di vista è necessario tener conto in primo luogo della vigente normativa e regolazione (circolari, linee guida ecc) in materia, la quale prevede l’obbligo di prevalente prestazione dell’attività lavorativa in presenza[4], dal quale consegue che il 51% del totale della prestazione lavorativa debba necessariamente essere svolta nei luoghi di lavoro, con tutte le certificazioni richieste dalla legge.
In secondo luogo, e forse ancor più importante, va considerato che il datore di lavoro pubblico non può adottare metodi di organizzazione del lavoro e modalità di impiego delle risorse umane tali da eludere obblighi di legge, compreso l’obbligo vaccinale per gli ultracinquantenni. Lo smart working infatti non è un diritto in sé, bensì va autorizzato e progettualizzato dal datore di lavoro, il quale cautelativamente non dovrebbe collocare ultracinquantenni in smart working senza previa verifica del possesso della certificazione verde Covid-19 da vaccinazione o da guarigione richiesta dalla legge. In tal senso depone anche la FAQ del Ministero della Funzione pubblica[5] che chiarisce come il lavoro agile sia “uno strumento di carattere organizzativo ed una modalità di rendere la prestazione di lavoro”, motivo per cui “Se al lavoratore non è consentito rendere la prestazione di lavoro per mancato possesso del green pass, è dunque inibito anche il lavoro agile”. Tale indicazione fu adottata nel momento in cui venne introdotto l’obbligo del c.d. “Green Pass Base” per l’accesso ai luoghi di lavoro (ed in cui era pertanto sufficiente l’effettuazione di un test antigenico rapido o molecolare) ma la ratio sottesa alla stessa permane, chiarendo come un obbligo previsto ai fini dell’effettuazione della prestazione lavorativa debba ritenersi sussistente anche quando tale prestazione sia resa al di fuori dei luoghi di lavoro.
Per quanto detto, il consiglio in diritto ed operativo è che il datore di lavoro, prima di collocare il dipendente in smart working, sempre nel rispetto delle norme e delle regolazioni vigenti, verifichi che tale dipendente sia in possesso delle certificazioni prescritte dalla legge per lo svolgimento della prestazione lavorativa. Diversamente si avrebbe peraltro anche una forma di disparità di trattamento sia nei confronti dei lavoratori “non smartizzabili”, che non possono effettuare la prestazione in modalità agile per la natura intrinseca della stessa, sia nei confronti di quelli che diligentemente hanno ottemperato all’obbligo vaccinale.
Va ricordato che le politiche comunali devono mirare a rispettare la regola del legislatore nazionale, teleologicamente orientata a perseguire la vaccinazione di tutti i cittadini e, in particolare, dei dipendenti pubblici. Appare infatti evidente che l’attuale Governo e la politica nazionale ed internazionale vedano la vaccinazione quale forma di tutela della “salute pubblica”. Gli atti organizzativi dell’Ente resi in qualità di Dirigente e di datore di lavoro pubblico devono pertanto conformarsi a tale approccio e costituire una risposta solidaristica sostanzialmente e formalmente ispirata sia ai doveri puntuali previsti dal legislatore nazionale, sia ai doveri inderogabili di solidarietà riconosciuti (cfr. art. 2 Cost.).
Detto ciò, invece, la diversità di condizione in cui si trova chi sia in ferie o in permesso senza alcuna correlazione con l’avvenuta introduzione dell’obbligo vaccinale a carico degli ultracinquantenni, è nella lettera della legge, quando prevede di procedere al controllo al momento dell’accesso ai luoghi di lavoro o di prendere atto della mancanza della prescritta certificazione da parte del dipendente, procedendo alla sua sospensione, solo ove espressamente e spontaneamente comunicato[6].
Il ruolo del datore di lavoro comunale non è quello di esercitare un potere punitivo o sanzionatorio nei confronti del dipendente non vaccinato (non a caso la sanzione – pur minimale – per mancato rispetto dell’obbligo vaccinale viene irrogata dall’agenzia delle entrate o, in caso di accesso ai luoghi di lavoro, dal Prefetto), bensì quello di garantire che la prestazione lavorativa sia organizzata e svolta nel rispetto di tutto quanto prescritto dalla legge, evitando qualsiasi comportamento o strumento che si riveli sostanzialmente elusivo della norma (quale, ad esempio, uno smart working concesso ad hoc).
Per questo motivo il Dirigente comunale deve essere accorto ed accurato nell’esercizio delle proprie prerogative dirigenziali, non pretendendo adempimenti ulteriori o eccedenti rispetto a quelli previsti dalla legge[7], ma, al contempo, senza permettere comportamenti elusivi della norma. Pertanto, ad esempio, il Dirigente potrà ben valutare se collocare o meno in ferie un dipendente che sa essere ultracinquantenne e non vaccinato e che ne abbia fatto richiesta proprio per il periodo continuativo dal 15 febbraio in poi: rientra nei poteri dispositivi del datore di lavoro l’organizzazione delle assenze dal servizio per ferie e le relative valutazioni circa l’opportunità o meno della loro disposizione.[8]
Il Dirigente pubblico/datore di lavoro in sostanza deve utilizzare atti organizzativi che non consentano l’elusione di un obbligo vaccinale, peraltro sanzionato tramite l’agenzia delle entrate-riscossione, quando sia consapevole che le richieste del personale mirano a violare i doveri solidaristici che tendono alla tutela della salute pubblica come richiesto dal legislatore italiano e da tutte le norme emergenziali sino ad ora emanate e tutt’ora in vigore.
Per completezza va comunque evidenziato che tale interpretazione[9] è una delle possibili: l’alternativa, d’altro canto, presta il fianco a dei rischi sia nella gestione del rapporto di lavoro sia di natura contenziosa.
Si potrebbe interpretare, contro la letteralità di una norma diversamente scritta per due fattispecie diverse (art 4-ter diverso dall’art. 4-quinquies), che vi sia l’obbligo vaccinale per gli ultracinquantenni a prescindere dall’entrata dai luoghi di lavoro e dello svolgimento di attività lavorativa (sostanzialmente ritenendo che sia un obbligo assoluto, incondizionato, analogo a quello di un esercente attività sanitaria o altra professione di cui all’art. 4ter). Ciò implicherebbe che il datore di lavoro dovrebbe sospendere dal servizio il dipendente anche ove questi si rifiutasse o non fosse in grado di trasmettere la certificazione verde Covid-19 nel corso di un periodo di ferie o di fruizione di permessi/aspettativa già in atto. Ciò potrebbe dar luogo ad un contenzioso, con possibilità che il giudice del lavoro aderisca alla tesi, conforme al dato letterale, secondo la quale la verifica del possesso della certificazione verde Covid-19 deve avvenire al momento dell’accesso ai luoghi di lavoro o quanto meno nell’ambito dello svolgimento dell’attività lavorativa, essendo deputato l’aspetto sanzionatorio esclusivamente ad altri enti/autorità (Agenzia delle Entrate-Riscossione e Prefetto). Da ciò, potrebbero quindi scaturire eventuali condanne dell’ente al versamento della retribuzione non pagata o al risarcimento del danno da mancato esercizio del diritto al riposo o alla fruizione dei congedi ex l. 104/1992 o di altri permessi riconosciuti dalla legge.
Il fatto che il legislatore abbia scritto norme complesse, ricche di rinvii e che non brillano per chiarezza non fa che deporre a favore di una interpretazione che tenda il più possibile a tutelare sia il datore di lavoro, sia l’ente di appartenenza, evitando applicazioni eccessivamente repressive quando la norma è scritta in modo diverso da altre, evidentemente più restrittive.
Rispetto all’obbligo vaccinale di cui all’art. 4-ter D.L. 44/2021 è peraltro anche ravvisabile una ratio diversa della norma: i sanitari, chi svolge attività di polizia municipale o in istituti penitenziari e figure analoghe sono categorie di lavoratori particolari, che svolgono mansioni ed attività ben distinte da quelle di un amministrativo comunale.
La raccomandazione finale e conclusiva, per la mia parte, è verso i datori di lavoro: pur sostenendo l’interpretazione cautelativa della norma come sopra illustrato, ribadisco che i Dirigenti comunali sono tenuti ad evitare qualsiasi forma elusiva, nonostante potrebbero sopravvenire varie forme di sollecitazione da parte di dipendenti privi di vaccino ad essere collocati in ferie o messi in smart working, magari approfittando della regola secondo la quale la prevalenza della prestazione in presenza può risultare anche su base plurimensile. Tale disposizione, prevista perlopiù per consentire una certa flessibilità in un periodo pandemico caratterizzato da malattie impreviste e prolungate assenze forzate, non può essere strumentalizzata calcolando il 51% della prestazione in presenza anche sui mesi antecedenti al 15 febbraio o alla sottoscrizione del prescritto accordo individuale con il datore di lavoro, in modo retroattivo.
Dal 15 febbraio, la pubblica amministrazione deve garantire che chiunque presti attività lavorativa, a qualunque titolo, sia in possesso di Certificazione Verde Covid-19 da vaccino o, al più, da avvenuta guarigione.
In conclusione, anche per i motivi di cautela sopra indicati, la norma va interpretata come sopra illustrato ed il datore di lavoro deve, nel contempo, evitare qualsiasi forma di elusione tale da consentire a qualche lavoratore “furbetto” di sfruttare le pieghe di leggi scritte in modo talora affrettato, sfuggendo ad un obbligo vaccinale generalizzato introdotto dal legislatore a carico degli ultracinquantenni. Ciò rappresenta peraltro una dovuta forma di rispetto nei confronti di altri lavoratori che, con coscienza e superando paure -pur legittime-, hanno avuto il coraggio di sottoporsi a vaccinazione in modo leale, corretto e a tutela della salute pubblica della collettività italiana.
* Segretario Generale Dirigente del Comune di Ancona
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NOTE
[1] Art. 9 d.l. 52/2021 comma 2:
c-bis) avvenuta guarigione da COVID-19 dopo la somministrazione della prima dose di vaccino o al termine del ciclo vaccinale primario o della somministrazione della relativa dose di richiamo.
[2] Introdotto dal decreto legge 26 novembre 2021 n. 172;
[3] Trattasi pertanto di obbligo al controllo del rispetto dell’obbligo vaccinale tout court ed incondizionato, in relazione alla tipologia di servizio pubblico prestato dai lavoratori ad esso adibiti.
[4] Cfr. Il decreto del Presidente del Consiglio del 23 settembre 2021, il quale, al fine di realizzare il superamento dell’utilizzo del lavoro agile emergenziale disposto nel tempo come misura di contrasto del rischio epidemiologico da Covid-19, stabilisce che, a decorrere dal 15 ottobre 2021, la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle amministrazioni pubbliche è quella in presenza, fermo restando l’obbligo di assicurare il rispetto delle misure sanitarie di contenimento del rischio di contagio da Covid-19;
Cfr. il decreto del Ministro per la pubblica amministrazione 8 ottobre 2021, il quale individua le condizionalità ed i requisiti necessari (organizzativi ed individuali) per utilizzare il lavoro agile in un quadro di efficienza e di tutela dei diritti dei cittadini ad una adeguata qualità dei servizi, stabilendo che le amministrazioni possono fare ricorso al lavoro agile a condizione che non pregiudichi o riduca in alcun modo la fruizione dei servizi a favore degli utenti, attraverso “un’adeguata rotazione del personale che può prestare lavoro in modalità agile, dovendo essere prevalente, per ciascun lavoratore, l’esecuzione della prestazione in presenza”;
Cfr. le linee guida sul lavoro agile del Ministro per la Funzione Pubblica, adottate previo confronto con le organizzazione sindacali e sulle quali è stata acquisita l’intesa della Conferenza Unificata in data 16.12.2021 e suggerite quale parametro di riferimento per la disciplina del lavoro agile anche dallo stesso Ministro On.le Brunetta ed On.le Ministro Orlando nella successiva circolare 05.01.2022 a firma congiunta;
Cfr. la circolare 05.01.2022 a firma congiunta del Ministro per la Funzione pubblica e del Ministro per il lavoro e delle politiche sociali, emanata al fine di sensibilizzare le amministrazioni ad una programmazione del lavoro agile con la flessibilità necessaria a fronteggiare questo particolare momento di alta diffusione dei contagi, “tenuto conto che la prevalenza del lavoro in presenza indicata nelle linee guida potrà essere raggiunta anche nella media della programmazione plurimensile”.
[5] https://www.funzionepubblica.gov.it/articolo/ministro/13-10-2021/green-pass-e-ritorno-ufficio-le-faq-la-pubblica-amministrazione)
[6] Cfr. art. 4quinquies D.L. 44/2021, diversamente dalla letteralità dell’art. 4ter che impone di verificare immediatamente l’adempimento dell’obbligo vaccinale;
[7] Ad esempio imponendo la trasmissione di certificazione verde Covid-19 da parte del dipendente che sia già in ferie o in aspettativa o che stia fruendo di permessi personali di varia natura –sussistendone i presupposti di legge- al momento dell’entrata in vigore dell’obbligo;
[8] Ad esempio, valutando se le ferie richieste costituiscono arretrato imputabile agli anni precedenti, e pertanto da smaltire, o meno;
[9] Secondo la quale il datore di lavoro pubblico non dovrebbe pretendere “adempimenti ulteriori o eccedenti rispetto a quelli previsti dalla legge” e quindi, evitare “di pretendere la trasmissione di certificazione verde covid-19 da parte del dipendente che sia già in ferie o in aspettativa o che stia fruendo di permessi personali di varia natura al momento dell’entrata in vigore dell’obbligo”.
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