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Dai porti alle reti, il potere torna allo Stato
Il nuovo Titolo V. Ricentralizzate una ventina di competenze, tra cui sicurezza sul lavoro e le politiche attive per l’occupazione

L’ultima battaglia è in pieno svolgimento sulle cosiddette “trivellazioni”, con tanto di appello via twitter lanciato dal Governatore della€ Puglia Michele Emiliano a Matteo Renzi perché revochi «tutte le autorizzazioni per trivellare nostro mare per lealtà costituzionale verso le regioni». Basta questo caso freschissimo a capire il peso della riforma costituzionale riapprovata ieri dalla Camera, che nel pendolo delle competenze riporta al centro una ventina di materie lasciate alla “concorrenza” fra Stato e Regioni dal Titolo V varato nel 2001.
Al di là del merito, proprio questa vicenda mostra il prodotto tipico di questa confusa «competenza concorrente» pensata 15 anni fa, che scatena conflitti prima politici e poi giuridici invadendo la Corte costituzionale di ricorsi dei Governatori contro i provvedimenti statali e del Governo contro quelli regionali. Proprio l’ambiente e l’ecosistema entra con la riforma nel nuovo, lungo elenco di competenze esclusive dello Stato, che è articolato in 20 lettere dalla «a» alla «z» ma comprende in realtà molte più materie perché spesso una lettera abbraccia una pluralità di aspetti.
L’orizzonte è chiaro, ed è quello di riportare le Regioni al loro originario assetto di enti programmatori delle politiche territoriali, semplificando il panorama dei 20 legislatori regionali che moltiplicano la complessità italiana. È questo il significato principale anche del ritorno al centro del tema ambientale, tema che alla Consulta ha visto Governo e Regioni contrapposte in quasi 300 casi, su temi chiave per lo sviluppo come la «valutazione ambientale strategica» che accompagna la progettazione di molte opere pubbliche, l’energia e altri capitoli centrali per la vita dell’economia.
In questo senso, l’ambiente si intreccia con altre competenze che nel 2001 erano state affidate in modo originale alla «competenza concorrente», estesa a materie tipicamente nazionali come «porti e aeroporti civili», «grandi reti di trasporto e di navigazione», oppure la «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia». I veti sono stati il frutto più evidente di questo federalismo all’italiana, che ha spesso gonfiato i tempi e i costi delle infrastrutture per addolcire i «no» pronunciati dal territorio: ma accanto a questo le competenze spezzettate hanno spesso alimentato l’attivismo locale, come mostra per esempio il caso dei tanti mini-aeroporti che ora si tenta di razionalizzare.
Ma nell’elenco delle competenze nazionali scritto dalla riforma c’è anche l’ordinamento delle professioni e soprattutto la sicurezza sul lavoro, per evitare alle imprese medio-grandi di dover fare i conti con regole diverse nelle loro diverse sedi. Tornano al centro anche le politiche attive per l’occupazione, dopo gli scarsi risultati ottenuti a livello locale.
La chiave di volta, poi, è rappresentata dalla «clausola di supremazia», che secondo il nuovo testo costituzionale permetterà allo Stato di intervenire su materie estranee alla sua competenza esclusiva «quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale».


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