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Agenda Colao: terza via per la rete unica (tra pubblico e privato)
Il titolare della Transizione digitale deve superare il divario sul web: significa mettere sulla rete veloce entro il 2026 privati e imprese, scuole e isole. E rendere lo Spid una consuetudine

di MARTINA PENNISI (dal Corriere – Economia) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Razionalizzazione e revisione degli investimenti, per renderli più incisivi. Chiarezza, granularità e specificazioni, per capire e spiegare come viene assegnato ogni componente. Investimenti importanti, dove è necessario, «come la cablatura delle scuole o la sensoristica sulle autostrade»; e di qualità, quando si parla di risorse e persone e si deve guardare – più che alla quantità – ai benefici a lungo termine. È parte della sintesi dell’approccio del ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale Vittorio Colao, espressa la settimana scorsa davanti al Parlamento, nel corso della sua prima audizione, e al Consiglio dei ministri. A disposizione c’è il 2% dei fondi europei: «Poco più di 40 miliardi di euro per l’Italia, ma, guardando allo stato di avanzamento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) la cifra sarà considerevolmente superiore se si includono anche le misure che riguardano interventi parzialmente digitali», ha sottolineato Colao, che coordina l’attività interministeriale dal tavolo dell’apposito Comitato per la transizione digitale (Citd) istituito con il decreto del primo marzo.
Intanto la sua struttura di supporto, il dipartimento per la Trasformazione digitale, cambia coordinatore: il testimone passerà da Luca Attias, nominato nel 2019, a Mauro Minenna, attuale direttore generale di Aci Informatica.

Accessi e dati

Il ministro, a cui il premier Draghi ha delegato tutte le attività legate alla digitalizzazione, ha fissato una scadenza: il 2026 per, innanzitutto, connettere alla Rete cittadini, scuole, presidii sanitari, imprese e isole minori con un Gigabit per secondo. Come? «Incrementando sensibilmente gli investimenti», assicurandosi di «stimolare l’utilizzo delle tecnologie più avanzate, nel nostro caso il 5G, per arrivare dove la fibra non può arrivare o arriverebbe con tempi troppo lunghi». E lasciando «agli operatori piena scelta nelle tecnologie da utilizzare». Citando i cinque anni che ci separano dalla scadenza anche a proposito della rete unica, Colao ha precisato che «non è molto tempo, e quello di cui abbiamo bisogno è più che altro una strategia unica». Vale per tutti gli obiettivi, a partire dall’annosa e ribadita promessa di semplificare il rapporto fra cittadini e pubblica amministrazione.
«La differenza tra un cittadino che si sente sostenuto dal suo Stato e uno trascurato – ha detto Colao – è quella di sapere di poter essere riconosciuto in maniera semplice e sicura e di ottenere senza attrito ciò che gli spetta». Dal primo marzo la giungla delle autenticazioni dovrebbe essere diventata più ospitale grazie all’obbligo per le pubbliche amministrazioni di dare l’accesso ai servizi solo mediante l’identità digitale Spid, la carta d’identità elettronica Cie o la carta nazionale dei servizi Cns. Da lato dei cittadini e con la spinta dei lockdown, le attivazioni sono circa 18 milioni per Spid e 19 milioni per la Cie. La corsa va fatta dal lato della pubblica amministrazione: nel caso di Spid, la cui adozione e crescita verrà affidata a un Capo dell’identità digitale (Head of digital identity) che deve ancora essere nominato, a inizio marzo solo 5 mila e 500 si sono fatte trovare pronte. L’obiettivo è rendere ogni cittadino sempre riconoscibile, attivo (per esempio con i pagamenti di PagoPa) e raggiungibile (con le notifiche dell’app IO).
È la cittadinanza digitale, che deve contribuire a portare le competenze digitali (almeno) di base oltre il 42% di italiani fra i 16 e i 74 anni che ne è attualmente dotato (nella stessa fascia d’età il 17% non ha mai usato Internet, contro il 9% in Europa: quasi il doppio). In sostanza: che cosa ce ne facciamo di un Paese connesso se i cittadini questa connessione non sono in grado di usarla, prima, e di sfruttarla a proprio vantaggio, poi? E questo vale anche per le aziende e le competenze all’interno delle aziende.

Il coordinamento

La digitalizzazione della Pubblica Amministrazione è la nervatura di tutto il piano. Bisogna passare – e Colao ha sottolineato la necessità di collaborare con il privato – per gli investimenti nelle infrastrutture e le opportunità del cloud computing. Il dipartimento per la Trasformazione digitale aveva contato nel 2019 circa 11mila data center sul suolo italiano per oltre 22mila enti pubblici. I rischi: economici e di sicurezza (vedi l’incendio nel data center di Strasburgo di Ovh del 10 marzo). «All’estero hanno iniziato prima di noi e ci sono operatori privati più grossi dei nostri – ha detto il ministro -, ma se partiamo adesso con un piano per la Pubblica Amministrazione che possa rafforzare anche il privato saremo in grado di arrivare nel gruppo di testa entro quattro o cinque anni». L’obiettivo, nella cornice europea della federazione Gaia-X, è di arrivare a una gestione dei dati – che devono comunicare tra loro su sistemi moderni – più autonoma e sovrana. Quanto debba essere comunitaria o nazionale dipende dalla sensibilità del dato stesso. Gli enti della pubblica amministrazione, inoltre, «devono essere messi in condizione di scegliere fra cloud privati, ibridi o pubblici con la consapevolezza di quale sia la destinazione migliore in base ai servizi erogati» ha detto Colao.
Quello della sanità è un esempio di coordinamento con le altre amministrazioni. Colao ha citato il Fascicolo sanitario elettronico, lo strumento che garantisce l’accesso ai propri dati clinici in formato digitale e per cui è necessaria un’accelerazione in linea con la strategia di cloud e comunicazione fra i dati. Secondo i dati relativi all’ultimo trimestre del 2020, le percentuali di attivazione o utilizzo in alcune regioni sono infatti ancora molto basse e nulle. Sull’asse salute-innovazione c’è anche l’app Immuni, ormai accantonata e inchiodata a poco più di dieci milioni di download e poco più. Dopo il pollice alto del Garante per la privacy, quella appena iniziata dovrebbe essere la settimana dell’aggiornamento dell’app varata per contenere la diffusione del coronavirus che permetterà a chi è positivo di sbloccare da solo le notifiche senza dover contattare alcun operatore. Il dipartimento è pronto e il ministero della Salute potrebbe rivitalizzare il progetto con una campagna di comunicazione. Per ora, Colao non ne ha fatto cenno.


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