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Clima, ambiente, PA e inclusione frenano la spesa dei fondi Ue
Verso il Recovery Plan: i dati della Ragioneria evidenziano il ritardo sui fondi di coesione 2014-20

di CARMINE FOTINA (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

La prima lezione per spendere bene le risorse del piano Next Generation Eu dovrebbe essere capire che cosa è successo, soprattutto che cosa non ha funzionato, con i fondi europei 2014-2020. L’ultimo monitoraggio dell’Ispettorato generale per i rapporti finanziari con l’Unione europea (Ragioneria dello Stato) mette chiaramente in guardia: l’Italia spende meno proprio nelle aree che sono considerate più strategiche per rispondere alla crisi e sono messe al centro del Recovery Plan, cioè il contrasto alla povertà, la riduzione dei rischi da cambiamento climatico, il rafforzamento della Pubblica Amministrazione. Al 31 dicembre 2020, rispetto alle risorse complessivamente programmate nell’ambito dei quattro Fondi strutturali e di investimento europei – 73,4 miliardi (di cui 45,5 di contributo Ue e 27,9 di cofinanziamento nazionale) – risulta un avanzamento del 70,1% in termini di impegni e del 48,7% in termini di pagamenti. In base alle regole Ue il completamento dei pagamenti è consentito entro il 2023. Ma è dall’analisi verticale della programmazione, cioè la ripartizione per gli 11 Obiettivi tematici, che emerge il ritardo più significativo alla luce delle sfide imposte dal Recovery Plan. Sia per la quota relativa ai Programmi nazionali sia per la fetta gestita dalle Regioni.

Gli 11 Obiettivi vanno raggiunti utilizzando due dei quattro fondi strutturali, il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) e il Fondo sociale europeo (Fse). In tutto 50,5 miliardi. Può sembrare paradossale ma la performance peggiore è realizzata nelle azioni per «rafforzare la capacità istituzionale delle autorità pubbliche e delle parti interessate a un’amministrazione pubblica efficiente», tema al centro in questi giorni del Patto per il lavoro pubblico e oggetto di un capitolo robusto del Recovery Plan. Tra gli assi prioritari, i fondi 2014-20 puntano alla «modernizzazione della Pa attraverso l’implementazione delle riforme relative agli aspetti gestionali e organizzativi e attraverso la semplificazione dei processi, per la riduzione di costi e tempi delle procedure». Ma l’avanzamento in termini di pagamenti è fermo al 27,9% su 1,4 miliardi. Appena più sopra nella graduatoria troviamo l’obiettivo di «promuovere l’inclusione sociale e combattere la povertà e ogni discriminazione». Le misure di contrasto alla povertà sono diventate prioritarie con la crisi post-Covid e sono lo strumento per raggiungere l’equità sociale cui ambisce l’Europa nel piano Next Generation. Con i fondi Ue 2014-2020 si finanziano tra l’altro misure di sostegno al reddito, l’attuazione del reddito di cittadinanza e del reddito di inclusione, i centri per l’impiego. Questo obiettivo, nel quale rientrano anche misure per l’integrazione dei migranti e di persone a rischio di discriminazione, presenta pagamenti pari al 31,2% di 6 miliardi.

Si raggiungono livelli appena superiori in un’altra grande battaglia degli ultimi anni, costantemente sollecitata dalla Commissione europea e fatta proprio dall’Italia, almeno nelle intenzioni programmatiche, con il vessillo del «green new deal». Il Recovery Plan richiede che alla transizione ecologica sia riservato almeno il 37% della dotazione. Nel monitoraggio dei fondi Ue 2014-2020, l’obiettivo di «promuovere l’adattamento al cambiamento climatico, la prevenzione e la gestione dei rischi» presenta un avanzamento del 35,9% su 1,4 miliardi. Gli altri obiettivi «green», la decarbonizzazione e l’uso efficiente delle risorse ambientali, sono rispettivamente al 37,8% (su 3,9 miliardi) e al 37,7% (su 3,4 miliardi). Le altre sei sfide sono tutte più avanti. Al primo posto trasporti e infrastrutture di rete, al 64,2%, poi Pmi e agricoltura (52,9%), istruzione e formazione (52,5%), tecnologie dell’informazione (50,2%), occupazione sostenibile (47,7%), ricerca e innovazione (46,7%).

Il monitoraggio della Ragioneria di Stato, come di consueto, fotografa anche la situazione del Fondo sviluppo e coesione, uno strumento nazionale volto a ridurre i divari territoriali e destinato per l’80% al Sud. Qui i numeri appaiono drammatici. Su 47,3 miliardi di risorse programmate, al 31 dicembre 2020 gli impegni sono fermi al 19,3%, i pagamenti al 6,7%. Dei 3,5 miliardi per gli investimenti sulla banda ultralarga, che ora il ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale Vittorio Colao vorrebbe rafforzare con il Recovery Plan, risulta speso lo 0,13 per cento.


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