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Patto di stabilità e aiuti pubblici, pronta la proroga Ue al 2022
La Commissione europea raccomanda di tenere il Patto di Stabilità sospeso anche nel 2022, e di proseguire con il sostegno pubblico all'economia fino al 2023. Lo scrive Bruxelles nella sua comunicazione sull'orientamento di bilancio

di GIANNI TROVATI (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

L’Unione europea viaggia decisa verso una conferma della sospensione del Patto di stabilità anche per il 2022. E questa scelta ha tutto l’aspetto di una premessa a modifiche strutturali nelle regole fiscali comunitarie; alla ricerca di un equilibrio nuovo fra le esigenze di ripresa e quelle di consolidamento dei conti. Il fatto che la pandemia appaia destinata a cambiare in modo permanente le regole di bilancio comunitarie emerge in modo chiaro dalle comunicazioni che ieri la Commissione ha indirizzato al Consiglio sulla risposta delle politiche fiscali alla crisi pandemica. La decisione ufficiale sul Patto è in calendario per maggio, ma l’esecutivo comunitario spiega a chiare lettere nel documento diffuso ieri che i dati dell’economia suggeriscono l’esigenza di applicare la General Escape Clause anche nel 2022, in vista di una sua disattivazione l’anno successivo. La ragione risiede nel fatto che gli Stati membri dovranno mantenere in piedi l’impianto degli aiuti alle loro economie «per quest’anno e il prossimo», perché «i rischi di un ritiro prematuro delle politiche di supporto fiscale sono maggiori di quelli associati al mantenimento degli aiuti troppo a lungo». A determinare le decisioni finali, che saranno assunte nel quadro del Semestre europeo dopo un confronto con Eurogruppo ed Ecofin con la pubblicazione a maggio delle stime di primavera, saranno le prospettive di recupero dei livelli pre-crisi nell’attività economica e nell’occupazione. I numeri elaborati poche settimane fa dalla commissione con le previsioni invernali mostrano che il pareggio con il 2019 non arriverà nel 2022. E non arriverebbe nemmeno l’anno dopo nei Paesi più in difficoltà, per i quali anche il ritorno del Patto dovrebbe accompagnarsi con il «massimo della flessibilità». Fra questi Paesi, naturalmente, c’è l’Italia.

Le notizie arrivate da Bruxelles sono quindi cruciali per Roma, che si vede di fatto confermata anche la decisione di non far partire la procedura per deficit eccessivo perché le ragioni di quella scelta «sono ancora valide oggi», come ha spiegato in conferenza stampa il commissario all’Economia Paolo Gentiloni. L’ultimo programma ufficiale di finanza pubblica presentato da Roma alla commissione prevede il ritorno del deficit al 3% del Pil proprio nel 2023. Ma la dinamica della pandemia moltiplica i rischi al ribasso sia al denominatore, perché l’obiettivo di crescita al 6% per quest’anno è quasi dimezzato in tutte le previsioni più aggiornate, sia al numeratore, perché il prolungarsi della crisi sanitaria rischia in prospettiva di alimentare ancora il bisogno di ulteriori aiuti in deficit, fin qui esclusi sia dal vecchio sia dal nuovo governo dopo i 32 miliardi approvati a gennaio da dedicare al prossimo decreto su fisco e indennizzi.

Ma le esigenze italiane rientrano ovviamente in un orizzonte comunitario che già soffre il confronto con Usa, Regno Unito e Cina sul terreno prettamente sanitario di vaccini e contagi. «Il nostro messaggio chiaro è che le misure di supporto devono continuare finché ce n’è bisogno» ha spiegato in conferenza stampa il vicepresidente della Commissione Vladis Dombrovskis, precisando che questo aiuto deve tradursi in misure «temporanee e mirate» con l’obiettivo di un «ritorno progressivo a bilanci sostenibili nel medio termine». E in modo ancora più diretto il commissario all’Economia Paolo Gentiloni ha spiegato che «dobbiamo evitare gli errori di dieci anni fa ritirando gli aiuti troppo presto» determinando, soprattutto nei Paesi più deboli come l’Italia, la doppia recessione.
In effetti i numeri mostrano che la dimensione degli aiuti è inedita, come lo è del resto l’intensità della caduta del prodotto determinata dal Covid-19. Secondo i calcoli di Bruxelles nel 2020 le misure di supporto fiscale messe in campo dagli Stati sono arrivate all’8% del Pil, divise a metà fra stabilizzatori automatici e interventi discrezionali, doppiando quindi lo stimolo fiscale del 2008-2009. Questo sforzo resta contenuto rispetto al 15,5% del Pil cumulato dagli aiuti giapponesi, al 16% del Regno Unito e al 17% degli Usa. Ma ha permesso di frenare per circa 4,5 punti il crollo del Pil. La stessa dinamica si è registrata in Italia, come certifica il confronto fra il -8,9% certificato dall’Istat nel confronto con il -13% abbondante ipotizzato nei mesi scorsi al ministero dell’Economia al netto dell’effetto paracadute determinato dalla politica economica.


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