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Le sfide del Recovery Plan: piano "green" di Cingolani entro maggio, Colao parte dalla rete a banda ultralarga
Le prime "mosse" dei due ministri-simbolo del nuovo Governo Draghi

di CELESTINA DOMINELLI e CARMINE FOTINA (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

La prima grande sfida per il neo ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, è contenuta nella bozza di decreto che istituisce il nuovo dicastero, ieri all’esame del preconsiglio dei ministri: entro maggio dovrà essere redatto il Piano per la transizione ecologica che servirà a coordinare le politiche energetiche (dalla mobilità sostenibile all’economia circolare). Uno snodo clou dal momento che quasi 70 miliardi dei 209 previsti per l’Italia dal Recovery Fund sono destinati alla rivoluzione verde e alla transizione ecologica.

Il piano «green», che sarà poi approvato dal nuovo Comitato interministeriale per la transizione ecologica (Cite), presieduto dallo stesso Cingolani, è solo uno dei dossier urgenti sul tavolo del neoministro. Che, appena arrivato all’ormai ex dicastero all’Ambiente, ha sbloccato nei giorni scorsi con il Mise la proroga al 2021 degli incentivi per impianti di produzione elettrica alimentati a biogas, con potenza fino a 300 kilowatt, contenuta nell’ultimo decreto milleproroghe licenziato dalla Camera. Restano, invece, da sbloccare rapidamente due decreti già notificati a Bruxelles: il Dm “gasivori” per ridurre gli oneri di sistema delle imprese a forte consumo di gas e quello sul “Fondo per la transizione energetica del settore industriale” che ha già incassato un parere positivo dell’Europa e che dovrà sostenere la competitività di alcuni settori manifatturieri esposti al rischio di delocalizzazione con una riduzione del costo indiretto della CO2 incluso nei prezzi dell’elettricità. Tra le partite da mandare avanti speditamente, poi, c’è la piena liberalizzazione del mercato energetico: oltre all’atteso decreto per l’Albo dei venditori dell’elettricità, Cingolani dovrà fissare con decreto anche modalità e criteri per un ingresso consapevole dei clienti finali nel mercato. E in ballo ci sono 15 milioni di utenti che beneficiano ancora delle tariffe calmierate ma che dovranno passare al mercato libero entro il 2023, dopo lo slittamento di un anno deciso dall’ultimo Milleproroghe.

Se sarà approvata la bozza circolata ieri (modifiche non si possono escludere) anche questa competenza, insieme a tutte le altre oggi in capo allo Sviluppo economico, passerà infatti al fisico milanese a scapito del leghista Giancarlo Giorgetti. E sembra fallito il tentativo dello Sviluppo di salvare almeno le competenze su mercato e sicurezza energetica e passerebbero di mano anche due storiche direzioni come la competitività energetica guidata da Sara Romano e la sicurezza dei sistemi energetici affidata a Gilberto Dialuce. Altri capitoli, poi, migreranno dal Mise al nuovo ministero: dalle reti energetiche alla ricerca e coltivazione di idrocarburi e risorse geotermiche, per cui spetterà a Cingolani decidere il da farsi alla scadenza della mini-proroga del blocco delle nuove concessioni per le trivelle, prevista nel Milleproroghe, che sposta al 30 settembre il termine per l’approvazione del nuovo Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (Pitesai), al quale è collegata la sospensione degli iter autorizzativi. Sarà sempre il neo ministro a doversi occupare anche di politiche di ricerca, incentivazione e interventi nel settore dell’energia e delle miniere, come pure dei piani in materia di emissioni nel settore dei trasporti, di combustibili alternativi e delle relative reti e strutture di distribuzione. E a Cingolani spetterà anche la gestione delle agroenergie condivisa con l’Agricoltura, oltre che la vigilanza su Enea, Gse, Gme, Sogin e Acquirente Unico. Il passaggio di competenze ha comunque tempi brevissimi. Scatterà con Dpcm entro il 31 marzo, fino a quel momento Cingolani si avvarrà delle strutture dello Sviluppo economico. Ma il malcontento tra il personale interessato è già alto: si spera ancora che in extremis venga inserito un diritto di opzione, che sia valutato l’attuale trattamento economico e che in ultima ipotesi ci siano garanzie sul mantenimento della sede.

Non ha di questi problemi la struttura guidata da Vittorio Colao, che resta un ministero senza portafoglio. Colao nei giorni scorsi ha avuto incontri singoli, in videoconferenza, con gli ad dei principali operatori della banda ultralarga e del 5G (Tim, Vodafone, Wind, Sky, Fastweb, Open Fiber) preannunciando la volontà di rivedere in tempi record la struttura del Recovery Plan per le connessioni veloci. Oggi questa voce è finanziata con 2,2 miliardi di risorse nuove, quasi un terzo di quanto il precedente governo aveva fatto inizialmente trapelare. Colao per ora si è limitato ad ascoltare istanze e proposte degli operatori, indicando la necessità di spendere in modo efficace le risorse a prescindere dalla loro entità finale. Si valuta se sia il caso di potenziare la dote, ma il focus sarà sicuramente sulle infrastrutture e in particolare sul superamento del digital divide nella banda ultralarga con la necessità di colmare i buchi rimasti nelle aree bianche, “a fallimento di mercato”, e di avviare le gare per il resto del paese a partire dalle aree grigie ad alta densità di imprese.

Colao sarà, su delega del premier, a capo del nuovo Comitato interministeriale per la transizione digitale (che per ora si affianca ma potrebbe poi inglobare il Comitato per la banda ultralarga). Il nuovo Comitato, la cui istituzione è stata giudicata positivamente anche da Confindustria digitale, sarà decisivo nella gestione del Recovery Plan e vedrà la partecipazione dei ministri dell’Economia, della Pa, della Transizione ecologica, dello Sviluppo e della Salute. Per il resto, lo spettro di funzioni assegnate a Colao ricalca abbastanza quelle che furono delegate nel 2019 all’ex ministro Pisano: dalla banda ultralarga e la digitalizzazione della PA all’attuazione dell’agenda digitale italiana. Passando per la digitalizzazione delle imprese, tema che incrocia anche il piano Transizione 4.0 gestito dal ministero dello Sviluppo e finanziato ampiamente proprio con il Recovery Plan.


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