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Italia digitale, strategia cercasi
I dati dell'Osservatorio Agenda digitale. Rimaniamo ancora ultimi in Europa, nonostante i progressi a livello centrale. In arrivo dall'Europa 100 miliardi di euro per la digitalizzazione del Paese tra fondi Fse, Fesr e Recovery Fund

di ALESSANDRO LONGO (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Se il Covid-19 fosse arrivato cinque anni fa sarebbe stato molto peggio. Per tutti. «Non avremmo potuto erogare gli incentivi di massa a supporto degli italiani e dei pagamenti elettronici con Spid, AppIO, la Cie 3.0», afferma Luca Gastaldi, direttore dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano, che oggi presenta i dati del rapporto 2020. «Questa evidenza positiva è uno dei principali messaggi del rapporto», aggiunge l’altro direttore dell’Osservatorio, Michele Benedetti.
Con 50 milioni di italiani presenti nell’Anagrafe unica (Anpr), 150 milioni di pagamenti gestiti tramite pagoPA, 170 milioni di fatture elettroniche alla Pubblica amministrazione, quasi 13 milioni di credenziali Spid e 18 milioni di Cie rilasciate, 8 milioni di download dell’AppIO e 10 di Immuni, «il Paese ha ormai posto solide basi per un proprio sistema operativo digitale», secondo il rapporto, che però aggiunge una constatazione: «Eppure, siamo entranti nella crisi legata al Covid ancora al quart’ultimo posto in Europa per livello di digitalizzazione (secondo l’indice Desi 2020 della Ue), con sensibili differenze tra Nord e Sud». Insomma, sarebbe andata molto meglio con un Paese più digitale. Lo dice anche il rapporto 2020 del World Economic Forum, uscito in settimana, The Global Competitiveness Report Special Edition: hanno affrontato meglio il Covid i Paesi più digitalizzati.

E del resto solo oggi è prevista, dopo sei anni di attesa, la firma alla Conferenza Stato-Regioni con cui il Governo autorizza la telemedicina, grazia alla quale i medici potranno fare diagnosi a distanza in modo efficiente e con meno rischio di contagi. C’è voluto il Covid-19 per sbloccare la telemedicina italiana.
Il Wef non cita tra i Paesi virtuosi l’Italia – il che non rappresenta una sorpresa -, ma «un altro messaggio importante è che ci troviamo in un momento molto particolare per l’Agenda digitale e potrebbe cambiare tutto – aggiunge Gastaldi -. Dobbiamo rendicontare le tante risorse dei fondi europei e usarli per il digitale». Ci sono da una parte i vecchi fondi (2014-2020), 3,6 miliardi di euro di cui – si legge nel rapporto – l’Italia ha impegnato il 93 per cento e speso il 34,5 per cento. «Se non li spendiamo tutti nel 2023 li perdiamo – sosiene Gastaldi -. Stiamo facendo leggermente meglio media europea, ma il problema è la grande variabilità tra le regioni». Poi ci sono i nuovi fondi europei 2021-2027, di cui 100 miliardi di euro in Italia già dal 2021, tra fondi Fse, Fesr e quelli a fondo perduto del Recovery Fund: «Anche se non è ancora sicura la parte che andrà al digitale, certo sarà sostanziosa come mai prima», dice Benedetti.

Come sfruttare quest’occasione unica? Osservata speciale la Pubblica Amministrazione. «Entro il 28 febbraio 2021, secondo il decreto Semplificazioni, tutti gli enti dovranno almeno aver cominciato il percorso per rendere digitali tutti i servizi- dice Benedetti -. La scadenza sarà un forte sprone; di contro è chiaro che alcuni Comuni partiranno solo quando avranno un forte accompagnamento». In settimana il dipartimento Innovazione del Governo ha annunciato un fondo da 43 milioni per i Comuni a questo scopo; si somma a un fondo da 42 milioni disponibile da quest’anno dal dipartimento Funzione Pubblica per i piccoli Comuni.
Ma le risorse non sono un fattore sufficiente, serve anche una guida e l’Osservatorio pensa alla necessità di una maggiore e ulteriore centralizzazione dei progetti nazionali digitali: «Ora abbiamo Spid, PagoPa, Anpr, ma il processo deve proseguire, come del resto sarebbe previsto dal nuovo Piano triennale Ict della Pa del Governo – prosegue Benedetti -. Gli enti, anche locali, dovranno appoggiarsi a soluzioni nazionali a tutto tondo perché solo con economie di scala avremo una PA digitale in toto». Utile anche «la gestione associata dell’Ict da parte dei piccoli enti. Lo fa solo il 13% dei Comuni con meno di 250mila abitanti e il problema è che anche qui c’è forte variabilità regionale, a favore di regioni come Emilia Romagna e Veneto».

Ci sono problemi di fondo, secondo Alfonso Fuggetta, professore del Politecnico di Milano e tra i massimi esperti in Italia di questi temi: «Mancano una strategia e un programma operativo per una questione di base: la reingegnerizzazione dei processi e dei back-end dei sistemi informativi delle amministrazioni. È un tema ostico dal punto di vista tecnico, amministrativo, politico e di change management, che non porta benefici immediati e visibili e quindi poco vendibile dal punto di vista politico. Ma è lo snodo che sta alla base dei problemi che viviamo e, in assenza di una svolta su questi temi, ogni altro sforzo di cui si parla è se va bene poco utile e, spesso, controproducente». «In secondo luogo – aggiunge – non siamo ancora riusciti ad avere una governance chiara, competente e credibile del digitale. Al contrario, la situazione appare ogni giorno sempre più confusa e sfilacciata».
«Infine manca una chiara visione di quale debba essere il rapporto tra pubblico e privato, con una crescente e malcelata voglia del pubblico di sostituirsi alle attività e alle funzioni che sono invece tipiche del mercato», dice Fuggetta.
I fondi europei sono opportunità straordinaria, ma l’Italia deve affrettarsi a cambiare approccio generale al digitale – dal Governo ai piccoli Comuni – o sarà l’ultima opportunità sprecata.


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