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Pubblico impiego, il primo sciopero in smart working è un vero flop
Ha destato non poche perplessità la giornata di ieri di sciopero nazionale del pubblico impiego, proclamato dai sindacati per il rinnovo dei contratti, per le assunzioni e la sicurezza sul lavoro e per una PA più moderna

di GIANNI TROVATI (da Il Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

L’incontro di oggi fra i sindacati e la ministra della PA Fabiana Dadone si terrà nel pieno della solita battaglia di cifre che segue gli scioperi nella Pubblica Amministrazione. E che in tempi di smart working generalizzato, utilizzato dal 46% dei dipendenti secondo l’ultimo monitoraggio di Palazzo Vidoni, promette di essere più aleatoria del solito. Ma le prime cifre uscite dalla Funzione pubblica disegnano un flop della protesta, con tassi di partecipazione intorno al 5%. Suona una musica opposta il comunicato di Cgil, Cisl e Uil, che parla di «una partecipazione fra le più alte degli ultimi anni».

Lo sciopero arriva a scaldare un rinnovo contrattuale del pubblico impiego che dopo l’ultima aggiunta da 400 milioni prevista dalla Legge di Bilancio in discussione ora alla Camera ha a disposizione 3,8 miliardi nel fondo per i contratti 2019/2021 nella PA centrale. Questa cifra si ribalta poi su Regioni, sanità, enti locali e università, chiamate a pescare 2,9 miliardi dai propri bilanci (e dal fondo sanitario) per garantire lo stesso aumento deciso per ministeri, agenzie fiscali e per il resto della Pa centrale: un aumento da 108,95 euro lordi al mese secondo i numeri forniti dalla relazione tecnica del ministero dell’Economia al disegno di legge di bilancio, che vale il 4,07% della busta paga dei dipendenti. Mentre l’Ipca, l’indice dei prezzi al consumo che secondo una regola mai rispettata dovrebbe misurare la dinamica degli stipendi pubblici, nello stesso periodo coperto dal contratto segna un più modesto 1,4 per cento.

Nelle settimane che hanno accompagnato il lungo cantiere della Manovra i sindacati avevano chiesto 1,5 miliardi invece dei 400 milioni stanziati dal governo. Non sono arrivati. Ma la cifra a disposizione rimane comunque importante, superiore del 30% abbondante rispetto a quella dello scorso rinnovo contrattuale. Oltre a rappresentare, appunto, il triplo rispetto all’inflazione del periodo.

Proprio questo aspetto, che accentua il contrasto rispetto alla condizione generale di un Paese colpito da un crollo del Pil e da un rischio esplosivo su occupazione e redditi una volta tramontate le misure di emergenza sul blocco dei licenziamenti, ha diviso il fronte sindacale, che ha visto l’Ugl e diverse sigle settoriali contestare lo sciopero proclamato da Cgil, Cisl e Uil. E ha spinto i tre sindacati maggiori a evideziare le parti extra-retributive della protesta. Che riguardano in particolare la richiesta di spingere sulle nuove assunzioni e su forme di confronto più stretto per l’organizzazione del lavoro agile.

Sul primo aspetto la situazione della Pa è variegata. Per le amministrazioni centrali la manovra ha accantonato un fondo da oltre 3 miliardi che dal 2021 al 2032 dovrebbe finanziare ingressi aggiuntivi rispetto a quelli permessi dalle regole del turn over. In regioni ed enti locali il turn over è invece stato già abbandonato, sostituito da un parametro che misura gli ingressi sulla base della loro «sostenibilità finanziaria» garantita dalle entrate stabili di ogni ente. Un sistema che secondo i calcoli governativi (del Conte-1) avrebbe dovuto far crescere di 40mila persone gli organici dei Comuni. Ma che ha avuto la pessima idea di debuttare nell’anno della crisi pandemica che ha abbattuto le entrate. Sull’organizzazione il quadro è invece sospeso: in attesa delle Linee guida di Funzione pubblica sui Piani organizzativi del lavoro agile che dal prossimo anno dovrebbero far andare d’accordo lo smart working con l’esigenza di garantire i servizi.


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