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Manovra: una spinta da 45 miliardi al Pil, investimenti oltre il 4%
Verso il Recovery Plan: nell'aggiornamento al Def scommessa sul 2021-23 per ridurre il maxi debito

di MARCO ROGARI e GIANNI TROVATI (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Un effetto espansivo intorno ai 45 miliardi di Pil extra nei prossimi tre anni per cominciare subito a piegare il debito, arrivato al 158% del Pil quest’anno. È la scommessa contenuta nella Nota di aggiornamento al Def in base alle cifre fornite ieri in audizione al Senato dal ministro dell’Economia Gualtieri. Per dare Pil aggiuntivo (9 decimali il primo anno, 8 e 7 nei successivi due) il governo prova a blindare gli effetti del Recovery, che porterebbe gli investimenti oltre il 4% del Pil. In manovra “anticipi” nazionali e progetti-panchina per sostituire eventuali piani bocciati dalla Ue.
Gli spazi di deficit aggiuntivo da 1,3 punti di Pil serviranno alla Legge di Bilancio anche per anticipare gli investimenti poi finanziati dal Recovery Fund, con una sorta di ponte che agirà prima di tutto sul rilancio di Industria 4.0 in versione «plus» e la spinta agli investimenti pubblici. E per evitare i rischi legati alla possibile bocciatura degli interventi che si candidano ai finanziamenti si studia l’idea di preparare «progetti panchina», chiamati a subentrare in caso di stop Ue. Una doppia mossa, quella studiata dal governo per la manovra, che serve a sostenere una scommessa da 45 miliardi di crescita extra in tre anni: scommessa ambiziosa ma indispensabile per piegare un debito ora al 158% del Pil.

A produrre la crescita aggiuntiva messa in calendario dalla Nadef dovrà essere l’accoppiata di misure espansive e aiuti Ue. In un piano che nel periodo di azione del Recovery Plan punta a portare gli investimenti pubblici sopra il 4% del Pil, cioè a un livello quasi doppio rispetto agli ultimi anni. Lo scatto è misurato dai numeri indicati ieri dal ministro dell’Economia Gualtieri nell’audizione al Senato sulle linee guida del Recovery Plan. Il Pil, come da anticipazioni dei giorni scorsi, dovrebbe crescere secondo il programma del 6% l’anno prossimo, del 3,8% nel 2022 e del 2,5% nel 2023. Ritmi inediti per la storia recente italiana, che dal 2000 non vede una crescita annuale sopra il 3%. E figli dell’effetto trascinamento del rimbalzo previsto l’anno prossimo, ma anche di un potente effetto espansivo ipotizzato dal governo. Per misurarlo è sufficiente guardare alla distanza fra la crescita tendenziale, quella «a politiche invariate», e quella programmata grazie alle misure in arrivo: questa forbice, limitata di solito a un paio di decimali, vale 9 decimali l’anno prossimo, 8 quello successivo e 7 nel 2023. In termini cumulati, indica appunto una produzione aggiuntiva vicina ai 45 miliardi in tre anni.

Una spinta del genere è necessaria per innescare subito una riduzione del maxi-debito posto Covid, che dal 158% del Pil di quest’anno scenderebbe al 155,6% l’anno prossimo e al 151,5% nel 2023, per tornare secondo Gualtieri «sotto il 130% alla fine del decennio». E la continuità negli anni dell’espansione prevista dal Mef si spiega con gli effetti attribuiti ai fondi di Next Generation Eu, di cui la Nadef indicherà un primo calendario di utilizzo nel 2026. Ma nei primi due anni servirà anche una quota importante di deficit aggiuntivo, l’1,3% del Pil nel 2021 e lo 0,6% nel 2022, rimandando il primo aggiustamento (da 0,4% di Pil) al 2023. Il disavanzo serve prima di tutto a coprire una serie di misure indispensabili, dalla sanità (si parla di 2 miliardi) alla scuola, dalla conferma del taglio del cuneo (altri 2 miliardi) alle decontribuzioni per i nuovi assunti e agli ammortizzatori sociali.

Ma una quota sarà impiegata per “anticipare” l’effetto dei fondi Ue. Perché il punto più critico è ovviamente rappresentato dai tempi necessari ad avviare i finanziamenti e a realizzare i progetti. Tempi che devono essere rapidi per archiviare il colpo gravissimo portato dalla pandemia all’economia e alla finanza pubblica (il fabbisogno dei primi 9 mesi dell’anno comunicato ieri dal Mef è di 128,2 miliardi, 73 in più del 2019, dopo i 21,9 miliardi di settembre in leggero miglioramento sui 22,8 di ottobre). E proprio al tentativo di garantire tempi certi risponde il meccanismo ponte previsto per il prossimo anno, con oltre 20 miliardi di indebitamento netto nella manovra e 15 miliardi di aiuti Ue tra la prima tranche di Recovery (intorno ai 10 miliardi) e i fondi legati ai programmi React-Eu e Just Transition (Sole 24 Ore di ieri).

Per blindare la prima fetta dei 15 miliardi i tecnici del Governo stanno pensando a un meccanismo con tratti molto simili a quello delle clausole di spesa. I fondi del primo miglio arriverebbero direttamente dalle coperture della Legge di Bilancio, gravando in parte solo sul saldo netto da finanziare, in attesa che diventino spendibili i sostegni comunitari con il passaggio nel conto di tesoreria. E per evitare il rischio che qualcuna delle iniziative promosse dal Conte-2 per il 2021 non passi l’esame Ue, a Palazzo Chigi e al Mef si sta valutando anche l’opzione dei «progetti-panchina». Che prevede l’immediata definizione di una seconda mini-lista da cui pescare in automatico nel caso di stop a voci contenute nel pacchetto iniziale. Tutte le ipotesi tecniche servono a preservare il più possibile l’effetto espansivo dalle incognite sull’attuazione dei piani. Allo stesso scopo rispondono le ipotesi di cabina di regia e di poteri sostitutivi per evitare ritardi nell’esecuzione degli investimenti. Mentre il Mef, con il via libera finale al decreto nel consiglio dei ministri di lunedì, può avviare la riorganizzazione sul sistema ispettivo e le competenze sulle partecipate.


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