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Smart working, obiettivo 4 milioni (di lavoratori)
Il piano del Ministero del Lavoro: rendere strutturale parte del lavoro agile nei settori pubblico e privato. Allo studio quote da inserire nei contratti e il superamento degli accordi individuali

di GIORGIO POGLIOTTI e CLAUDIO TUCCI (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Sarà la contrattazione collettiva a disciplinare lo smart working, con un ruolo più pesante per contratti nazionali e aziendali. Sono questi gli obiettivi il Governo che si appresta a mettere mano alla legge del 2017 con cui era stato introdotto il meccanismo esclusivo dell’accordo individuale. Il governo stima che dopo la fine del regime semplificato, il 15 ottobre, lo smart working potrebbe riguardare tra i 4 e i 5 milioni di lavoratori. Sarà pertanto la contrattazione collettiva a disciplinare il lavoro agile, con un ruolo più marcato da affidare ai contratti nazionali o aziendali che potranno normare temi come il diritto alla disconessione, affrontare la conciliazione vita-lavoro ad esempio per evitare penalizzazioni per le lavoratrici su cui gravano già i carichi di cura dei familiari, od occuparsi dell’erogazione dei buoni pasto. Sono queste le ipotesi di intervento allo studio del ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, che il 24 settembre ha convocato al dicastero di Via Veneto i sindacati (la mattina) e le associazioni datoriali (il pomeriggio) al tavolo sul lavoro agile, con l’intento di modificare l’impostazione della legge Del Conte varata appena tre anni fa, innovando radicalmente rispetto al telelavoro.

Fino al 2019 l’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano (studia questa modalità lavorativa fin dal 2012) «contava 570mila lavoratori agili, soprattutto nel settore privato – sottolinea la direttrice, Fiorella Crespi -. Quest’anno, a causa dell’emergenza sanitaria, lo smart working ha interessato potenzialmente tra i 6 e gli 8 milioni di lavoratori, comprese Pmi e settore pubblico, in moltissimi casi anche per 5 giorni a settimana». Al termine del regime semplificato del 15 ottobre, si stima all’interno del governo che potrebbero rimanere in modalità agile, anche in forma impropria – comprendendo, ad esempio, pure autonomi e professionisti-, 4/5 milioni di lavoratori, che magari alterneranno due o tre giorni a settimana in presenza, e i restanti “da remoto”. Il ministero del Lavoro, durante il lockdown, ha parlato di 1,8 milioni di lavoratori agili, nel privato, in base alle comunicazioni ricevute (si tratta, quindi, di dati parziali); e oggi resterebbero in questa modalità circa il 50 per cento.

Visti i numeri in gioco, e l’applicazione che lo strumento ha avuto negli scorsi mesi, il ministro Catalfo ha deciso di rivedere la disciplina. Tra le ipotesi allo studio c’è anche quella di fissare a livello di contratto nazionale delle quote percentuali di ricorso allo smart working, in linea con quanto fatto, con apposite direttive, dal ministro della Pa, Fabiana Dadone, indicando come obiettivo di avere quest’anno il 50% del personale coinvolto nel lavoro da remoto e nel 2021 si punta al 60% (previa elaborazione da parte di ogni amministrazione del Piano organizzativo del lavoro agile, il cosiddetto Pola). In un recente seminario organizzato dal M5S, il ministro Catalfo ha ricordato che il lavoro agile «nella pubblica amministrazione è stato molto utilizzato: al ministero del Lavoro più dell’80% di lavoratori sono stati messi in smart working».

Queste novità dovrebbero arrivare al traguardo dopo la scadenza del 15 ottobre, quando in corrispondenza con la fine dello stato d’emergenza, terminerà l’attuale meccanismo semplificato che consente al datore di lavoro di ricorrere allo smart working con una decisione unilaterale. In assenza, perciò, di un intervento del ministro, dal 16 ottobre i datori di lavoro dovranno ripristinare il meccanismo della legge 81, e dunque stipulare accordi individuali con i singoli lavoratori coinvolti nello smart working. A meno che il ministro Catalfo non intervenga con un decreto legge con vigenza dal 16 ottobre, che modifichi il quadro normativo. Soprattutto i grandi gruppi più strutturati si sono già organizzati ed hanno raggiunto accordi a livello di contrattazione aziendale con i sindacati per disciplinare il ricorso al lavoro agile.

Vale la pena ricordare che il lavoro agile (o smart working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzata dalla reversibilità della scelta, dall’assenza di vincoli orari o spaziali e da un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro. La definizione di smart working, contenuta nella legge n. 81/2017, pone l’accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale e sull’utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (come ad esempio: pc portatili, tablet e smartphone). Ai lavoratori agili viene garantita la parità di trattamento – economico e normativo – rispetto ai loro colleghi che eseguono la prestazione con modalità ordinarie.


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