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Pubblica Amministrazione: niente buoni pasto ai dipendenti in smart working
A deciderlo è il Tribunale di Venezia nella prima sfida tra un'amministrazione pubblica e un sindacato di fronte ai giudici del lavoro

di GIANLUCA BERTAGNA (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

I buoni pasto non sono dovuti al lavoratore in smart working e di conseguenza la loro mancata corresponsione non deve essere oggetto di contrattazione e confronto con le sigle sindacali. È questa l’importante conclusione della prima sfida tra un’amministrazione pubblica e un sindacato approdata a un tribunale del lavoro. La sentenza n. 1069/2020 del tribunale di Venezia non dà alcuno spazio per poter riconoscere il beneficio durante il lavoro agile diventato la modalità ordinaria di prestazione lavorativa durante l’emergenza sanitaria da Covid-19.

Le regole del contratto
Il Comune di Venezia ha ritenuto di non riconoscere il buono pasto ai propri lavoratori in smart working applicando scrupolosamente gli articoli 45 e 46 del contratto nazionale di lavoro del 14 settembre 2000 che ne subordinano il diritto a determinati requisiti di durata giornaliera della prestazione lavorativa. Nello specifico è necessario che l’orario di lavoro sia organizzato con scadenze fisse e che il lavoratore consumi il buono pasto al di fuori dell’orario di servizio. Per il Tribunale, questi presupposti non sussistono, però, durante il lavoro agile, perché il lavoratore è libero di organizzare come meglio crede la prestazione sotto il profilo della collocazione temporale.

Il confronto con gli altri lavoratori
Già questo di per sé sarebbe bastato a negare il diritto al buono pasto, ma durante il ricorso è emersa la necessità di accertare se il mancato riconoscimento potrebbe creare pregiudizio al principio per il quale il lavoratore in smart working abbia diritto a un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le proprie mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda. Il giudice, richiamando la sentenza della Corte di cassazione n. 31137/2019 ricorda che il buono pasto non è un elemento della retribuzione, né un trattamento riferibile direttamente alla prestazione di lavoro in quanto tale, ma piuttosto è «un beneficio conseguente alle modalità concrete di organizzazione dell’orario di lavoro. Se così è, i buoni pasto non rientrano sic et simpliciter nella nozione di trattamento economico e normativo, che deve essere garantito in ogni caso al lavoratore in lavoro agile ex art.20 Legge n. 81 del 2017».
Non regge neppure la lettura al contrario dell’articolo 87 del Dl 18/2020 (Cura Italia) proposta dal ricorrente laddove si vorrebbe sostenere che poiché la norma non ha vietato l’erogazione del buono pasto, allora sia possibile procedere con il riconoscimento. La tesi, infatti, non ha convinto il Tribunale perché dinnanzi alla prospettata incompatibilità, logica e giuridica, tra buoni pasto e lavoro agile, il silenzio del legislatore non è sufficiente per consentire una diversa ricostruzione.

Le relazioni sindacali
La sentenza si chiude con la corretta indicazione che se i buoni pasto non spettano, non possono essere erogati e l’atto del Comune con cui se ne sospende l’erogazione al lavoratore in smart working è sostanzialmente un atto «necessitato». Il confronto (o la contrattazione addirittura) con i sindacati non è di conseguenza obbligatorio e, pertanto, non vi è stata alcuna violazione da parte dell’ente in tema di informazione sindacale.


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