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Semplificazioni, già 200 proposte dai ministeri ma Palazzo Chigi frena
Il decreto andrà al Consiglio dei ministri nella seconda metà di giugno: tra le misure proposte si allineano semplificazione anagrafica, modifiche al codice appalti, imposta sull’affissione della pubblicità e rigenerazione urbana

di GIORGIO SANTILLI (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Il rischio di fare un decreto Rilancio-bis, con molte decine di articoli e centinaia di pagine, impossibile da leggere e ancora più da attuare, c’è tutto, ma Palazzo Chigi frena. Sul decreto semplificazioni, che andrà al Consiglio dei ministri nella seconda metà di giugno, sono arrivate dai ministeri duecento proposte di articoli: dalla semplificazione anagrafica a una trentina di modifiche al codice appalti, dall’imposta sull’affissione della pubblicità alla rigenerazione urbana, dall’alta formazione artistica museale e coreutica alla funzionalità delle forze armate. Il vero rischio, paradossale, che sempre si ripropone quando si prepara un provvedimento di questo genere e con questo titolo, è la tentazione dei ministeri di svuotare i cassetti e aggredire la burocrazia aumentando le norme di riferimento e annacquando di fatto la portata delle riforme. Piccoli segmenti aggiunti a piccoli segmenti, nuove procedure per ridurre le procedure. Un labirinto che raramente ha prodotto risultati positivi e concreti aldilà degli annunci.
L’ultimo esempio di fallimento di questo tipo è il «decreto sblocca cantieri» del marzo 2019, discusso per sei mesi con profonde lacerazioni nel governo Conte 1 di tinta gialloverde e senza che,a distanza di oltre un anno, abbia prodotto risultati concreti in termini di rilancio degli investimenti. Basti pensare al capitolo supercommissari che veniva presentato come il più rilevante, la leva decisiva per ripartire e ora viene riproposto al centro del dibattito più o meno con lo stesso tono (anche se i protagonisti sono parzialmente diversi).

L’obiettivo – stavolta con l’aggravante dell’emergenza Covid – è sempre quello di rilanciare gli investimenti pubblici. Proprio per la particolarità del momento, però, è chiaro a tutti che stavolta non si può prendere in giro gli italiani né fare flop, ne va della sopravvivenza e della credibilità del Paese che, per altro, dovrà mettere a punto (e poi spendere) concretamente un piano da 200 miliardi di euro.
Il primo a frenare rispetto a un provvedimento monstre di micronorme è il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che rigetta le proposte ministeriali e ha in mente alcune riforme incisive. Non a caso ha già parlato di abuso d’ufficio e danno erariale, due proposte manifesto sul tema chiave della “paralisi della firma” e non sempre gradite in passato ai partiti della sua maggioranza. Conte pensa a una sorta di semestre (o forse anno) «bianco» in cui sperimentare nuove procedure eccezionali ed emergenziali che azzerino la burocrazia e siano il punto di inizio di un processo di riforma che riveda a fondo anche le procedure ordinarie (si veda Il Sole 24 Ore del 1° maggio scorso).
L’ulteriore rischio, non nuovo a questa maggioranza, è di non riuscire a trovare la sintesi fra posizioni contrapposte e che le idee chiare del premier debbano fare i conti con la rissa quotidiana dentro il governo. D’altra parte, l’inizio non fa ben sperare. Si parla di questo decreto da due mesi e doveva essere prima il «decreto Aprile», poi il «decreto Rilancio», ma i due treni sono già persi e non è detto che gli Stati generali convocati dal premier aiutino ad accelerare.

Anche perché è la maggioranza a essere drasticamente spaccata sul tema. Sono settimane che il Pd frena sulla discussione, cominciata ancora prima dell’emergenza Covid, di generalizzare il «modello Genova» fatto di commissari e pesantissime deroghe al codice degli appalti. A tutte le altre componenti della maggioranza, invece, il «modello Genova» – più slogan che sostanza – va bene, mentre anche i costruttori dell’Ance si mettono di traverso. Soprattutto se i poteri dei supercommissari fossero quelli di affidare miliardi di appalti senza gara e non quella, più naturali, di bypassare alcuni pareri sul progetto per rendere più spedito il cammino di apertura dei cantieri.
Una possibile mediazione la offre l’ANAC, l’Autorità anticorruzione, co una proposta al governo: si applichi a tutti gli appalti la corsia emergenziale già prevista dal codice, agli articoli 63 e 163. Basterebbe un articolo del decreto Semplificazioni che dicesse: si può applicare la corsia di emergenza del codice perché il Covid ha creato una condizione di emergenza per tutta l’economia nazionale.


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