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Fisco locale, il calendario degli accertamenti resta al buio
Cosa cambia per i Comuni con le nuove norme contenute nel Decreto Rilancio

di PASQUALE MITTO (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Permangono ancora incertezze sulle notifiche degli atti di accertamento comunali, a seguito delle nuove disposizioni del Dl 34/2020 e sono incertezze che pesano notevolmente sul bilancio di previsione dei Comuni e quindi sulla verifica degli equilibri del prossimo 31 luglio.
Sotto il profilo del calcolo del termine di decadenza, pare ormai pacifico che tutte le annualità «accertabili» nel 2020, e quindi gli anni d’imposta 2015-2019, godono di una proroga pari ai giorni di sospensione, ovvero gli 85 giorni previsti dall’articolo 67 del Dl 18/2020. Sicché, il 2015 scadrebbe il 26 marzo 2021, il 2016 il 26 marzo 2022, e così via.

Permangono ancora incertezze sull’anno 2015, incertezze che derivano dal fatto che l’articolo 68 richiama anche gli accertamenti esecutivi disciplinati dal comma 792 della legge 160/2019, e dal 1° gennaio 2020 i Comuni devono utilizzare per tutti i loro tributi il nuovo accertamento esecutivo.
Il dubbio dipende dal fatto che non è chiaro se l’articolo 68 si riferisca solo agli atti «già emessi» (come sembrerebbe ad una prima lettura, confermata dalla circolare dell’agenzia delle Entrate n. 5) o anche a quelli che si sarebbero potuti emettere nel periodo di sospensione, dubbio che nasce dal rinvio che la norma fa all’articolo 12 del Dlgs 159/2015 che dispone la proroga biennale per gli accertamenti in decadenza nell’anno in cui è disposta la sospensione, e quindi si riferisce ad accertamenti ancora da emettere, non potendosi evidentemente scindere la funzione del nuovo strumento tra accertamento e sua riscossione coattiva: l’atto è unico è può essere riscosso dal Comune senza affidarlo in carico all’agenzia delle Entrate.

Tralasciando i dubbi sulla data in cui interviene la decadenza, che ha questo punto riguarda il solo 2015, l’articolo 157 del Dl 34/2020 ne genera altri.
La norma prevede che gli atti in decadenza al 31 dicembre 2020 – o meglio quelli che sarebbero decaduti alla fine dell’anno, perché esclude espressamente dal computo il periodo di sospensione previsto dall’articolo 67 del Dl 18/2020 – sono emessi nel 2020, ma notificati nel 2021. Il dubbio è se l’articolo 157 si applica anche ai tributi comunali; se così fosse, ovviamente, ci sarebbero serie ripercussioni sui bilanci comunali, il cui equilibrio è raggiunto anche con le previsioni di recupero dell’evasione 2015.

La risposta non è certa e le implicazioni sono notevoli.
Da un’interpretazione letterale si desume che l’articolo 157 non è immediatamente applicabile ai tributi comunali, sia perché l’ente impositore comunale non è citato espressamente, sia perché per l’attuazione della disposizione, il commi 5 e 6 dettano indicazioni solo con riferimento all’agenzia delle Entrate.
In particolare, il comma 5, prevede che «al fine del differimento dei termini di cui al presente articolo» la prova dell’emissione nell’anno 2020 è fornita dalla data di elaborazione risultante dai sistemi informativi dell’Agenzia.
Il comma 6, invece, rinvia per le modalità di «applicazione del presente articolo» a un provvedimento del direttore delle Entrate. Inoltre, il comma 7 prevede un fondo di 205 milioni, che non pare destinato a ristorare i Comuni.

È evidente, però, che il dubbio necessita di un chiarimento normativo, perché se si ritiene l’articolo 157 non applicabile ai tributi comunali, si rischiano ricorsi avvero gli atti 2015 notificati nel corso del 2020; se, invece, si ritiene applicabile l’articolo in questione, si rischiano ricorsi avvero gli atti 2015 notificati dopo il 26 marzo 2021, in quanto atti notificati oltre il termine decandenziale.
È evidente che i rischi maggiori si corrono ritenendo l’articolo 157 applicabile ai tributi comunali. Ragioni di certezza dei bilanci comunali e dei rapporti con i contribuenti richiedo un tempestivo chiarimento normativo.


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