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Coronavirus: in smart working niente straordinario né permessi brevi
Lo smart working risulta incompatibile con alcuni istituti che regolano particolari modalità di svolgimento dell'attività da parte dei dipendenti pubblici

di TIZIANO GRANDELLI e MIRCO ZAMBERLAN (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Lo smart working risulta incompatibile con gli istituti che regolano particolari modalità di svolgimento dell’attività da parte dei dipendenti pubblici, quali il lavoro straordinario e quello notturno o festivo. Parimenti al lavoratore agile non possono essere concessi i benefici di legge e di contratto che comportano una riduzione dell’orario giornaliero di lavoro, come i permessi brevi. Lo ha ribadito il Dipartimento della Funzione Pubblica, nelle faq pubblicate lo scorso 27 marzo.

Il lavoro agile rappresenta l’ordinaria modalità di rendere la prestazione lavorativa nella Pa in questo periodo di emergenza legato al Covid-19 (articolo 87, comma 3, del Dl 18/2020) per tutte quei servizi che non presentano il carattere di indifferibilità e che non richiedono la presenza nel luogo di lavoro. Uno dei principi cardine garantiti dalla legislazione vigente in materia riguarda la tutela del dipendente che accede a tale forma di lavoro: lo smart working non può comportare forme di discriminazione e il dipendente ha diritto allo stesso trattamento giuridico ed economico che spetta a colui che rende la prestazione in ufficio. In questo contesto ogni amministrazione deve provvedere a definire le modalità con le quali viene applicato il lavoro agile al proprio interno. Un concetto non può essere travalicato: il lavoro reso con la modalità agile non può tradursi in un determinato numero di ore da rendere, e, quindi, non deve essere soggetto a controlli sulla presenza del dipendente, bensì il monitoraggio riguarda il risultato della prestazione, da misurarsi sia in termini quantitativi che in termini qualitativi. In altre parole, il dipendente in modalità agile non deve rispettare un orario di lavoro prestabilito ma deve raggiungere degli obiettivi. Partendo da questi presupposti, risulta evidente come sia del tutto indifferente rispetto all’obiettivo il “quando” la prestazione venga resa, la cui decisione è rimessa esclusivamente al lavoratore. Tale libero arbitrio non è assoluto, ma può essere limitato attraverso la fissazione di fasce di reperibilità per favorire il coordinamento con gli altri dipendenti.

In questo contesto risulta chiaro che i concetti di lavoro straordinario, lavoro notturno e lavoro festivo mal si conciliano e, di norma, sono, pertanto, esclusi nel caso di smart working. Ne consegue che non possono essere riconosciuti al dipendente le forme di compenso che retribuiscono queste fattispecie. In verità, il Dipartimento della Funzione Pubblica rimette alle singole amministrazioni la decisione in argomento, non escludendo in assoluto il ricorso a queste modalità di rendere la prestazione, ma, tra le righe, si legge un vivo consiglio a evitarle. Nello stesso tenore e per le stesse motivazioni, nelle faq si legge che al lavoratore agile non possono essere riconosciuti quegli istituti che comportano una riduzione dell’orario giornaliero di lavoro, quali i permessi brevi. Infatti il lavoratore agile può tranquillamente decidere, nel rispetto della reperibilità imposta, di prestare la propria attività per 3 ore un giorno e per 9 il giorno successivo, senza alcun bisogno di giustificare il numero limitato di ore dedicate allo smart working nel primo giorno.


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