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Coronavirus: braccio di ferro Fontana-Conte su una nuova stretta per la Lombardia
La risposta del Governo è attesa per oggi: ma non ci sono ancora certezze su una possibile ulteriore stretta per limitare il contagio

di SARA MONACI (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

La risposta del governo è attesa per oggi. Ma non ci sono ancora certezze su una possibile ulteriore stretta per limitare il contagio del Coronavirus, chiesta a gran voce dalla Lombardia, dove tutti i sindaci delle città capoluogo, insieme al governatore Attilio Fontana, hanno firmato una lettera urgente al premier Conte. L’Esecutivo non ha fatto sapere se asseconderà o meno la volontà dei lombardi di chiudere tutte le attività commerciali e imprenditoriali non indispensabili e il trasporto pubblico. Per il governatore bisogna intervenire su tutto ciò che può creare possibilità di incontro. Per questo occorre fare una scelta faticosa, soprattutto quella di bloccare, o almeno limitare, il trasporto pubblico locale. Servizio che viene gestito dalle partecipate comunali, che viene regolamentato dalle agenzie territoriali, ma che essendo un settore di rilevanza pubblica ha bisogno di interventi da parte del governo per essere bloccato. In questo conflitto di competenze, la via più semplice sarebbe che i diversi livelli istituzionali andassero nella stessa direzione. Tuttavia, ha detto Fontana, «sono pronto a prendere altre decisioni».

Una valutazione aperta, che potrebbe far prevedere uno strappo nei confronti del governo e una decisione autonoma. Quanto agli esercizi commerciali, è stato l’assessore al Welfare Giulio Gallera a spiegare il perché di questa nuova richiesta: «Inutile dire ai cittadini che devono stare a casa e limitare i contatti se poi teniamo aperti i negozi per lo shopping. Diamo un messaggio contraddittorio». Fontana ha anche incontrato il presidente di Confindustria Lombardia Marco Bonometti: «Ho raggiunto un accordo per individuare le modalità che andranno adottate dalle aziende che continueranno a produrre e prendendo atto della disponibilità di altre a sospendere l’attività». Intanto a Milano si stanno vedendo anche scelte autonome di imprenditori e commercianti. Ieri oltre 100 ristoranti e pizzerie hanno firmato un appello per sottolineare la difficoltà di garantire misure di sicurezza, chiedendo proprio una chiusura più netta per tutti, invece che solo alle ore 18. L’associazione dei centri commerciali Cncc si è detto disponibile a collaborare e associarsi ad ulteriori sforzi. Il gruppo Armani ha chiuso tutto, dai negozi ai ristoranti agli hotel. Il gruppo bergamasco Kiko, del settore cosmetico (gruppo Pesenti), ha deciso di tirare giù la saracinesca per il periodo del decreto. Secondo i dati di Confcommercio Milano ha chiuso il 50% delle attività. La sensibilità verso la nuova stretta sta crescendo anche in modo spontaneo, anche perché alcuni dati sono incoraggianti: là dove c’è stata una vera zona rossa, nel lodigiano, i risultati si cominciano a vedere, con un rallentamento dei contagi (ieri +35, 963 in tutto). Sale invece la provincia di Bergamo, con 248 casi in più (1.472 in tutto). Sotto osservazione anche il bresciano, con 51 casi in più (790 in tutto).

Questi i numeri di ieri. A livello nazionale ci sono 10.149 casi, 631 morti (168 ieri) e 1.004 guariti. In Lombardia, la regione più colpita, ci sono 5.791 casi (aumento moderato rispetto a ieri, 322 in più, probabilmente dovuto ai diversi ritmi di lavoro dei laboratori) e 468 decessi, 3.319 ricoverati e 466 in terapia intensiva. È quest’ultimo dato ad allarmare. Oggi ci sono altri 644 posti pronti. In tutto sono 946. E nei prossimo giorni ne verranno aperti altri 200. Sono in corso valutazioni in due padiglioni della vecchia Fiera del quartiere Portello, dove in prospettiva si dovrà trasferire la Rai regionale, per capire se è possibile ospitare nuovi posti letto, e in ospedali più vecchi che sono stati svuotati. Sono stati poi trasferiti dalla Lombardia verso altre regioni 30 pazienti (uno solo Covid). E sono stati comprati 1,8 milioni di tamponi. Intanto è stato pubblicato in Gazzetta il decreto Sanità che apre alle assunzioni veloci: le Regioni hanno chiesto 20mila tra medici e infermieri. Nel testo finale però si prediligono contratti precari di lavoro autonomo o co.co.co a sei mesi o incarichi a tempo determinato di non più di 1 anno, non rinnovabili, ma senza garanzie di stabilizzazioni come invece era stato previsto nelle bozze.


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