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Comuni, addio al turn over bloccato dal caos contratti
In attesa della circolare della Funzione pubblica che spieghi le nuove regole che dovrebbero moltiplicare le assunzioni nei Comuni

di GIANNI TROVATI (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Non arriva ancora l’attesa circolare della Funzione pubblica per spiegare le nuove regole che dovrebbero moltiplicare le assunzioni nei Comuni. Il problema nasce dal calcolo dei costi dei rinnovi contrattuali nelle soglie di spesa, che finiscono per penalizzare gli enti.
Ci sono gli effetti dei rinnovi contrattuali alla base dell’empasse che sta ritardando la circolare di Funzione pubblica chiamata a guidare gli enti locali nel complicato passaggio dal vecchio al nuovo regime delle assunzioni. O, meglio, a spiegare lo stallo sono una serie di incognite sul calcolo delle spese di personale, in cui i rinnovi contrattuali dominano la scena. E a preoccupare, più del futuribile contratto 2019/2021, è la spesa prodotta da quello 2016/2018, che rischia di complicare parecchio la vita delle amministrazioni nel tentativo di rispettare i valori soglia previsti dalle regole attuative del nuovo regime. Che sono stati calcolati sulla situazione del 2017, quando il contratto non era ancora stato firmato.

Breve riassunto delle puntate precedenti. Dopo mesi di attesa, a dicembre è arrivato in Conferenza Stato-Città il decreto che attua l’articolo 33 del decreto crescita, quello che cancella il turn over per sostituirlo con spazi assunzionali basati sul rapporto fra entrate stabili e spese di personale. Il cambio di rotta, che secondo i primi calcoli governativi avrebbe dovuto garantire circa 40mila posti in più a regime nei Comuni, inciampa sui valori soglia fissati dal decreto attuativo per dividere i Comuni che possono far crescere la propria spesa da quelli che la devono fermare o ridurre in prospettiva. Da lì la protesta di molte amministrazioni, sfociata nella Conferenza Stato-Città del 30 gennaio con la promessa di una circolare guida in 15 giorni. Giorni che sono passati fra molte riunioni, ma senza circolare.

Il primo chiarimento atteso riguarda la possibilità di portare a termine le assunzioni con il vecchio regime, diventato inaspettatamente prezioso alla luce delle nuove soglie, fino al 20 aprile, data di entrata in vigore della riforma. La finestra dovrebbe aprirsi per chi ha previsto le assunzioni nei documenti di programmazione e ha inviato entro quella data alla Funzione pubblica la richiesta per la ricerca di profili in mobilità, passaggio preventivo per il bando di concorso.
Ma il punto più controverso riguarda le voci da inserire nel calcolo della spesa di personale. Perché la riforma, fondata sul principio guida della «sostenibilità» della spesa, in pratica non prevede eccezioni: le uscite vanno calcolate tutte, per capire se appunto sono «sostenibili» rispetto alle entrate. Ma c’è un problema.

A parte il fatto che questo criterio omnicomprensivo si allontana parecchio da quello del comma 557 della manovra 2007, che fin qui aveva guidato i calcoli sulla spesa di personale degli enti, l’inclusione nei calcoli dei costi dei rinnovi contrattuali fa sforare le soglie a molti enti. Per questa ragione i sindaci chiedono di escludere questa voce, come accadeva con le vecchie regole, anche perché si tratta di una spesa indipendente dalle scelte amministrative. L’unica alternativa per rientrare nei parametri, complicata da seguire, sarebbe quella di aumentare le entrate (per chi non ha già le aliquote al massimo) per compensare il costo dei rinnovi contrattuali. Rinnovi per di più già realizzati, perché le tabelle del decreto attuativo nascono dalla condizione precedente alla sigla del contratto 2016/2018. E il nuovo contratto 2019/2021, quando mai si farà, non potrà che peggiorare la situazione. Ma per il momento dal Mef non sono arrivate aperture.
In discussione ci sono poi le spese eterofinanziate, magari perché relative a personale collegato a progetti regionali, che non incidono sulla sostenibilità effettiva delle uscite, così come quelle dei segretari in convenzione. Una buona notizia riguarda la Tari, la cui entrata dovrebbe pesare nel calcolo anche negli enti che hanno esternalizzato la riscossione e quindi non hanno questa voce in bilancio. Ma il puzzle resta complicato.


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