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I dirigenti pubblici chiedono la pensione a 70 anni
Focus sull'avvio di confronto fra governo e sindacati sul memorandum per il pubblico impiego: cosa chiedono i rappresentanti dei dirigenti?

di GIANNI TROVATI (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

I dirigenti pubblici chiedono di rendere strutturale per tutti la breccia aperta dal Milleproroghe per i medici con la possibilità di andare in pensione a 70 anni. E di eliminare il tetto retributivo a 240mila euro per le alte professionalità con i ruoli di responsabilità maggiore perché «il merito va pagato».

Arriva dall’Unadis, l’Unione nazionale dei dirigenti di Stato, uno dei pochi guizzi in un avvio di confronto fra governo e sindacati sul «memorandum» per il pubblico impiego che per il resto si è svolto secondo previsioni. Con la ministra della PA Fabiana Dadone impegnata a squadernare le risorse per i contratti e le iniziative del governo su turn over, graduatorie e stabilizzazioni e i sindacati a chiedere di più.
Il clima non è di scontro. La ministra non chiude la porta a «una possibile ulteriore riflessione nel prossimo Def sulle già ingenti risorse disponibili per i rinnovi». E i sindacati promuovono il metodo del confronto ma chiedono di «cambiare passo» e mettere in campo fondi «adeguati».

Perché i tavoli tecnici tematici che dovrebbero affrontare i tanti fronti aperti nel pubblico impiego sono chiamati a occuparsi di tutto, dalle regole per le carriere alle possibilità di eliminare vincoli e rigidità nella gestione del personale. Ma è inevitabile che siano i numeri dei nuovi contratti a dominare la scena.
Quelli scritti nei documenti di finanza pubblica parlano di 3,4 miliardi a regime per i contratti 2019/2021 del personale della Pubblica amministrazione centrale. E i calcoli dell’Aran portano a 6 miliardi il conto totale abbracciando anche enti locali, Regioni, sanità e università.

L’impatto in busta paga sarebbe vicino ai 100 euro mensili, con un aumento medio del 3,7% un po’ superiore al parametro dell’inflazione prevista per il periodo (3%). Ma com’è ormai tradizione nel panorama complicato delle buste paga pubbliche, sui numeri c’è battaglia. Perché gli stanziamenti comprendono anche i fondi necessari a confermare l’«elemento perequativo», cioè il tassello aggiuntivo introdotto dall’ultimo rinnovo per evitare ai dipendenti pubblici con redditi medio-bassi di perdere il bonus 80 euro grazie agli aumenti previsti dal contratto, le specificità di forze dell’ordine e sicurezza e l’indennità di vacanza contrattuale. Togliendo queste voci, calcola per esempio la Confsal-Unsa, gli aumenti medi effettivi si fermerebbero a 71,4 euro. Ma il negoziato è solo all’inizio, in un cammino complicato dalle incognite sulla tenuta del governo e da una finanza pubblica che non offre molto spazio ad ambizioni maggiori.


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